«È giunto il momento. Morire con dignità per vivere appieno: questa è la volontà che il legislatore metterà nella legge del nostro Paese». È il 2014 e il presidente francese François Hollande vuole dare ai cittadini ciò che gli ha promesso in campagna elettorale: una normativa compiuta sul fine vita. Ci riuscirà solo in parte, con la legge Claeys-Leonetti del 2016, che riformando la Leonetti del 2005 consente la sedazione profonda e continua in determinate condizioni e si oppone all’accanimento terapeutico.

In nessun caso si parla di “aiuto a morire”, come fa invece l’attuale capo dell’Eliseo Emmanuel Macron, che a sua volta ha promesso di legalizzare il suicidio assistito nella sua campagna del 2017. Il progetto si è fatto concreto nella primavera dello scorso anno, quando Macron ha annunciato il disegno di legge che sarebbe approdato all’Assemblea nazionale di lì a poco. «Con questo testo, guardiamo la morte in faccia», tuonava il presidente francese. E dopo le ultime peripezie politiche d’Oltralpe, ora i tempi sembrano maturi: mercoledì scorso il testo sul fine vita è tornato in Aula, dieci mesi dopo lo stop impresso all’iter della legge con la crisi politica francese che ha portato allo scioglimento dell’Assemblea nello scorso giugno. La proposta ricalca quella in parte già approvata dall’Aula, ma con una differenza sostanziale imposta dal nuovo primo François Bayrou, che ha voluto dividere in due i disegni di legge: uno riguarda soltanto le cure palliative, l’altro è sul suicidio assistito.

Sul primo testo, promosso dall’esponente macroniana Annie Vidal (Renaissance), ci sarebbe un largo consenso e dovrebbe essere approvato senza difficoltà. Le polemiche si concentreranno probabilmente sulla seconda proposta, presentata dal democratico Olivier Falorni (MoDem), che rende legale il suicidio assistito e l’eutanasia a determinate condizioni, pur definendo la pratica come generico “aiuto a morire”. Il 9 aprile i deputati hanno iniziato l’esame dei due testi in commissione Affari sociali a partire dall’audizione dei due ministri competenti, Catherine Vautrin e Yannick Neuder.

L’Aula li discuterà singolarmente dal 12 al 25 maggio, mentre il voto per entrambi è fissato in una data unica, il 27 maggio. Di 1.608 emendamenti presentati, due terzi riguardano il testo sul suicidio assistito. E questo già dà la misura del clima che si è instaurato dopo la decisione di separare l’iter delle due proposte. Per il primo ministro si tratta di garantire a ciascun parlamentare di “poter votare in modo diverso su ciascuno di questi due testi”, riducendo lo scontro tra le diverse parti politiche. Mentre per Falorni, relatore della legge sul fine vita, si tratta di una strategia volta ad affossare la sua proposta per spianare la strada all’altra.

«La nostra responsabilità è grande: rispondere alla sofferenza senza turbare le coscienze», è la posizione della ministra della Salute, che difendendo il testo in esame lo scorso maggio ha ribadito la necessità di mantenere un «giusto equilibrio» su un argomento complesso che interroga la società. In Francia la chiamano “rottura antropologica”: il timore che sancire un diritto a morire possa determinare un capovolgimento dell’etica comune. È ciò che sostiene anche una parte dell’opinione pubblica italiana, a partire dal mondo cattolico, per la quale una legge troppo “larga” potrebbe indurre la società a “sbarazzarsi” dei soggetti più fragili.

Il dibattito è enorme, in Italia come in Francia. E dopo anni di tentativi falliti, in questo momento Roma e Parigi corrono parallelamente verso la possibilità concreta di approvare un testo che porta al centro del dibattito le cure palliative. Come condizione “obbligatoria”, in Italia, secondo la proposta di legge lanciata dalle forze di maggioranza, che aggiunge un quinto requisito a quelli sanciti dalla Corte costituzionale. Il rischio, secondo alcuni giuristi e bioeticisti, è che si configuri un trattamento sanitario obbligatorio contrario alla Carta e alla legge sulle Dat e il consenso informato.

Mentre in Francia, chi sostiene la libertà di autodeterminazione del malato, teme che la legge sulle palliative possa di fatto vanificare l’accesso al suicidio assistito. Per il quale il testo francese approvato nella scorsa legislatura prevede cinque criteri: essere francesi, maggiorenni, poter esprimere la propria volontà liberamente e in modo consapevole, essere affetti da una patologia grave e incurabile che “mette in pericolo la vita in fase avanzata o terminale” e provare una sofferenza fisica o psicologica insopportabile. Con un ampliamento del perimetro previsto dal testo Macron che ha suscitato polemiche e divisioni.

Le stesse che scuotono la Francia dal 2003, per il caso di Vincent Humbert: rimasto tetraplegico, muto e quasi cieco dopo un terribile incidente stradale, chiese il diritto a morire al presidente Chirac, che glielo negò. Da allora sono passati oltre vent’anni: sarà la volta buona, per una buona legge?