Le “dichiarazioni programmatiche” pronunciate dal Presidente del Consiglio sono finalizzate a richiedere al Parlamento quella “fiducia” che, nella nostra forma di governo, attribuisce all’esecutivo la legittimità politica di governare, in stretto raccordo con le Camere e la propria maggioranza.

Tre parole, dichiarazioni, programmatiche, fiducia, che anche nel lessico comune alludono a una proiezione nel futuro. Le dichiarazioni sono parole, il futuro si nutre di fatti; il programma è un progetto, che poi andrà realizzato, la fiducia è un’apertura di credito che vale a “con- fidare” che i tuoi comportamenti futuri saranno prevedibili e coerenti con ciò che hai promesso.

Sul contenuto di quelle dichiarazioni le riflessioni abbondano e sia i politici che gli opinionisti si sono variamente applicati. Io vorrei concentrarmi sul meccanismo istituzionale, dal quale conseguono tre considerazioni.

La prima è che, quale che siano e comunque si valutino i contenuti, solo i fatti potranno dare senso e sostanza a quelle promesse e alle valutazioni che su di esse si fanno. In secondo luogo, va ricordato che il meccanismo funziona se ci sarà un momento nel quale si potrà valutare la coerenza tra le “dichiarazioni” e le “azioni”. In cui sarà “reso il conto” delle promesse fatte.

Infine, quel giudizio finale, per essere effettivo dev’essere attendibile. Nel senso cioè che a esso non deve essere possibile sfuggire. Purtroppo su questo punto la politica italiana è del tutto carente. Perché in genere a un governo ne succede un altro (e poi magari un altro), senza che gli elettori possano pronunziarsi ovvero perché la durata è talmente breve che per chi ha governato è fin troppo facile rifugiarsi nell’alibi di non aver avuto tempo. E la responsabilità sfuma. Una cuccagna per la politica che si nutre di alibi.

La Presidente del Consiglio, però, ha mostrato di averne consapevolezza, arrivando, con un coraggio di cui bisogna darle atto, a dire che è disposta anche a perdere e ad essere sconfitta, piuttosto che vivacchiare o cercare alibi. La stabilità non è un valore in sé, non è un vezzo per imitare le grandi democrazie. Ha una ricaduta concreta sulla vita dei cittadini. La stabilità è la condizione perché alle promesse possano seguire i fatti e che della coerenza tra promesse e fatti si sia responsabili. Senza alibi o scappatoie.

La stabilità ha anche un altro valore. Consente di avere certezza, almeno nel medio periodo, dello scenario normativo nel quale i cittadini si troveranno ad operare. Prefigurare uno programma che poi si realizza assicura un quadro di certezze e consente a ciascuno di compiere le proprie scelte di vita.

Ascoltando le dichiarazioni programmatiche e i tanti temi trattati, mi venivano in mente quante scelte di vita ciascuno di noi è continuamente chiamato a compiere e quante, soprattutto, è chiamato a compierne un giovane, un figlio, mio figlio o mia figlia. Decidere se continuare a studiare o cercare subito un lavoro, se lavorare come lavoratori autonomi o cercare la sicurezza di un impiego da dipendente, se restare in Italia, magari al Sud o emigrare, se proteggere i propri guadagni risparmiando o invece investendoli, se mettere al mondo dei figli o oppure no, se far causa quando si subisce un torto o rinunciare perché tanto è inutile a causa della malagiustizia. Tutto dipende dal quadro normativo e dalla ragionevole certezza che esso, almeno per un po’ rimarrà stabile.

Tutte queste scelte, private, singole e se vogliamo piccole, sono la vita delle persone. Per questo le dichiarazioni programmatiche non sono un rito retorico, ma un momento di assunzione di una enorme responsabilità. La stabilità del governo è la premessa della certezza per i cittadini e per la stabilità delle loro scelte.

La ragione per la quale la politica da tempo in Italia ha perso credibilità non sta solo, come si dice spesso, nella caduta delle ideologie o nel riflusso nel privato. Sta nell’incapacità di dare seguito a quelle promesse e assicurare quelle certezze e quella stabilità di orizzonti che rassicurino i cittadini nelle proprie scelte.

La certezza, insomma, è un valore in sé. E’ vero, il quadro normativo può piacerci o meno a seconda delle opzioni politiche. Ma se ci sono, quelle certezze, consentono comunque di scegliere, di organizzarsi, magari di difendersi, comunque di conoscere le regole del gioco della vita sociale. E’ di questo che i cittadini, in Italia, sentono soprattutto, la mancanza.

E’ questa la più grande sfida di un governo che nasce. Criticando i governi deboli, le maggioranze precarie, che assumono decisioni congiunturali, continuamente modificate; che vivacchiano eruttando incertezza ed entropia ed evocando la necessità delle riforme, la Premier ha messo a nudo quello che è il male della politica italiana.

Per queste ragioni, almeno per oggi, e comunque la si pensi, tutti, compresa l’opposizione, dovrebbero sperare che il governo duri, che abbia il tempo di dimostrare se è in grado di trasformare le proprie dichiarazioni in azioni, senza ricorrere a sconti e ad alibi. Perché solo così lo si potrà giudicare attendibilmente, spietatamente, ciascuno secondo le proprie convinzioni politiche. Questo rende la vita costituzionale un esperienza di senso e non una ipocrisia di riti.