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Il foto racconto a un anno dalla strage di Cutro, dove 94 migranti, partiti dalla Turchia, persero la vita nelle acque calabresi. Momenti di preghiera e una fiaccolata per non dimenticare una tragedia immane che fece il giro del mondo
Un anno dopo, il mare di Cutro è ancora agitato. Ma è su questa spiaggia che sopravvissuti e familiari delle vittime hanno voluto ricordare chi è stato inghiottito dall'acqua e dalla solitudine a pochi metri dalla riva.
Sono le 4 del mattino del 26 febbraio, lo stesso orario della strage del 2023 in cui 94 persone hanno perso la vita senza mettere piede su suolo italiano. Tutto intorno è silenzio e fragore delle onde illuminato dalle candele della veglia. Sulla sabbia, un mucchio di peluche, gli stessi che un anno prima i cittadini di Crotone hanno deposto sulle bare dei troppi bambini annegati senza alcuna spiegazione. Perché a un anno di distanza, ancora nessuno ha spiegato ai familiari il motivo per cui i loro cari sono stati inghiottiti dalle onde, a pochi passi dalla terra ferma. Come sia stato possibile.
I processi, con i loro tempi, scriveranno la storia delle eventuali responsabilità nella catena dei soccorsi mancati. Ma nel frattempo la politica ha scelto di girarsi dall'altra parte. Nessun rappresentante del governo si è fatto vedere a Cutro nel giorno dell'anniversario, fatta salva una rapida visita al cimitero del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, avvenuta due giorni prima. Così come nessuno, un anno fa, aveva voluto incontrare i familiari delle vittime, nonostante un Consiglio dei ministri organizzato a favore di camera nella cittadina calabrese pochi giorni dopo la strage.
«Non abbiamo visto nessun ricongiungimento familiare in tutto questo tempo. A nostro avviso il governo in Italia potrebbe fare qualcosa: almeno iniziare ad aprire un corridoio umanitario per le persone che hanno seppellito i loro cari a Bologna, qui al cimitero di Cutro o al cimitero di Crotone», dice Alidad Shiri, che nel naufragio ha perso un cugino di 17 anni. Punta il dito contro le promesse non mantenute del governo, mentre trattiene a stento il dolore.
«Quando ritorni qui si riapre una ferita, devi elaborare. Quando sono ritornato nella mia città, ho fatto anche un percorso psicologico e lo psicologo mi aveva sconsigliato di tornare sul luogo del naufragio, però sono venuto lo stesso», continua a raccontare Alidad Shiri. «Sono venuto per i miei familiari, sono venuto per mio cugino, sono venuto per altri familiari che ancora soffrono, che vivono in Iran, in Pakistan, in Turchia e in Afghanistan e non riescono ad arrivare. Io sono molto fortunato, perché vivo in Italia, posso prendere un treno, arrivare qui a pregare, a vedere i luoghi e poi andare. Ma le altre famiglie non hanno questa possibilità». E proprio mentre i superstiti pregano in pashtu, il buio viene squarciato da un urlo di dolore improvviso e spaventoso. Una donna, che qui ha perso la madre, una sorella e due nipoti, si accascia sulla sabbia come colpita da un fendente. È svenuta. I sanitari intervengono prontamente e sulla spiaggia cala il silenzio. Solo quando la donna viene rianimata e portata in un luogo meno affollato, le preghiere ricominciano.
Delusione e senso di abbandono sono i sentimenti predominanti tra chi ha perso qualcuno a Cutro. Insieme al senso di colpa. Un doppio senso di colpa: «Da una parte non siamo riusciti aiutare i nostri cari e dall'altra parte il governo, attraverso il decreto Cutro, ha cercato di stringere di più per le persone, soprattutto per le persone vulnerabili», dice ancora Alidad Shiri. I parenti vorrebbero che il decreto cambiasse nome per non associare il ricordo dei loro familiari a una scelta politica che viaggia nella direzione opposta rispetto al sogno dell'accoglienza. E per rompere l'isolamento hanno deciso di intentare una causa civile risarcitoria nei confronti del governo per omissione di soccorso. Il ricorso sarà presentato solo una volta conclusa l'inchiesta penale coordinata dalla procura di Crotone e riguarderà la presidenza del Consiglio e i ministeri dell'Interno e dell'Economia.
Sulla spiaggia i sopravvissuti vagano smarriti accompagnati da interpreti. Solo una manciata di loro si è fermata in Calabria, gli altri sono partiti alla volta della Germania. Chi è riuscito a tornare a Cutro per l'anniversario della strage ha potuto riabbracciare anche Vincenzo Luciano, uno dei pescatori che quella notte hanno provato senza successo a tirare in barca qualche naufrago ancora vivo. «Quello è un rammarico che mi porterò dietro per tutta la vita. Quando siamo arrivati noi quella mattina era già troppo tardi per loro», racconta Luciano. «La loro barca sia è rotta verso le quattro e noi siamo arrivati alle sei. Sono rimasti da soli in mare per due ore, non c'era nessuno da aiutarli. E io do colpa a me stesso, perché non sono arrivato prima».
Il mare restituiva solo cadaveri. «Ne avrò tirati su una ventina di cui 5 o 6 bambini», dice ancora, con gli occhi gonfi, il pescatore. Che quella notte non era l'unica persona arrivata a dare una mano. Tra loro anche Orlando Amodeo, ex primo dirigente medico della Polizia di Stato, che nel corso della sua carriera ha soccorso e salvato migliaia di migranti. «Come prima cosa ho accarezzato e coperto i sopravvissuti», dice Amodeo. «Quando mi sono reso conto che i sopravvissuti, a parte il freddo, non avevano altro, ho pensato a contare i cadaveri. Ho incrociato una bambina di 9 anni. Una signora le stava lavando gli occhi e la bocca e sembrava che la bimba dormisse. Per qualche secondo ho pensato: beh, svegliati dai. E lì mi son detto: sono un medico, che sto dicendo? Sono impazzito? Quindi sono andato sul mare e ho iniziato a gridare. E dopo essermi sfogato contro il mare, ho detto: Orlando sì, sei un essere umano». Un essere umano che però non si dà pace, convinto fin dal primo momento che quella strage si sarebbe potuta evitare.
«A Crotone abbiamo mezzi e navi capaci di affrontare tranquillamente un mare forza 7 o 8 e io ho fatto salvataggi con un mare così agitato. Quel giorno il mare era forza 4. Non voglio essere presuntuoso, ma mare forza 4 vuol dire onde di uno o due metri, mare forze 8 significa onde di sei-dieci metri. Se la capitaneria di porto è in grado di intervenire con onde alte dici metri non è in grado di farlo con onde di uno?». Toccherà alla magistratura rispondere a queste domande. Ma intanto, a un anno dalla strage, nulla è cambiato sul versante dell'accoglienza, tranne i proclami di persecuzione su «tutto il globo terracqueo» degli “scafisti”. Ma chi ha perso la vita a Cutro sognava solo un po' di pace, non un decreto nuovo di zecca.