«Se ArcelorMittal chiude l’area a caldo dell’Ilva, il Sud perderà settemila posti di lavoro». Il grido d’allarme arriva dall’aristocrazia sindacale italiana, arriva da Fiom, Fim e Uilm i cui rappresentanti ieri hanno incontrato il ministro dello sviluppo economico Patuanelli.
Una storia complicatissima quella del gigante di Taranto che produce acciaio. L’ambizione di rispettare la sicurezza ambientale garantendo i posti di lavoro è sempre più a rischio. Soprattutto dopo il passo indietro della maggioranza che ha tolto lo scudo penale ai boss di Arcelor. Uno scudo che li avrebbe messi al riparo solo dai danni ambientali preesistenti il loro insediamento, ma che evidentemente alla parte grillina del governo non bastava.
«La preoccupazione è altissima - ammette il segretario della Fim Marco Bentivogli -. L’ad di ArcelorMittal Italia Lucia Morselli ha davanti due strade: consolidare la produzione di acciaio a 4 milioni di tonnellate annue, che significa ridurre l’organico di 5 mila persone, o, dopo il pasticcio fatto al Senato sullo scudo legale, fare letteralmente le valige». «Non esistono altri scenari» e i tagli al personale al momento sono, precisa Bentivogli, «paradossalmente lo scenario migliore. Ma non non permetteremo altri 5 mila esuberi. Non consentiremo di aggiungere a una bomba ambientale una sociale». Quanto alle dichiarazioni del ministro per il Sud, Giuseppe Provenzano, secondo cui la tutela legale c’è grazie all’articolo 51 del codice penale, secondo Bentivogli «affidarsi all’articolo 51 è surreale, significa non conoscere bene le norme». I pasticcio fatto al Senato - conclude proprio riferendosi all’abolizione dello scudo legale contenuto nel dl “salva imprese” - rischia di dare un alibi all’azienda per andarsene».
«Arcelor Mittal - aggiunge Arianna Re David, segretaria della Fiom- deve garantire quello che ha firmato nell’accordo, non l’ha firmato così per gentilezza, gli ha dato grandi vantaggi. Se Arcelor Mittal non è in grado di garantire il rispetto dell’accordo Il governo dovrà trovare il modo di garantire che quello che abbiamo firmato nell’accordo, quindi la sicurezza occupazionale. Deve essere garantito il piano ambientale, il piano industriale e il no agli esuberi. Non siamo disponibili a trattare nessun elemento che metta in discussione l’elemento fondamentale per quanto ci riguarda che è la salvaguardia dell’occupazione». «Se Arcelor Mittal non è in grado di garantire questo, dovrà risponderne - sottolinea Re David - da ogni punto di vista e il governo dovrà trovare il modo perché l’acciaio si continui a produrre pulito, garantendo l’occupazione su quel territorio, dei diretti e dell’indotto. La questione che riguarda più che altro gli equilibri parlamentari all’interno della maggioranza rischia di fornire all’azienda un alibi nel caso in cui l’azienda avesse voluto rivedere i piani. Il cambio di amministratore delegato, di solito, significa che c’è un cambio di strategia».
Da parte sua il governo prova a rassicurare: «La nostra posizione è chiara: non esiste un’idea di piano industriale del Paese senza la siderurgia», ha infatti dichiarao il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, al termine dell’incontro con i sindacati. «Noi siamo intenzionati a garantire la continuità produttiva, chiederemo all’azienda di rispettare il piano industriale e ambientale», ha detto Patuanelli. «Non possiamo abbandonare la produzione dell’acciaio», ha insistito. «Mi auguro - ha concluso - che non ci sia alcuna polemica politica sull’idea indirizzo di politica industriale che abbiamo come governo. Non credo ci sia spazio per polemiche».