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«Per noi, per costruire la fiducia della comunità, soprattutto ora, quando così tante persone in questo paese esprimono rabbia e disperazione con il sistema, dobbiamo fare i conti ed essere trasparenti sugli errori del passato». ù
Le parole sono quelle pronunciate dal procuratore distrettuale della contea di Kings, Brooklyn, New York. Eric Gonzalez le ha pronunciate in concomitanza con la pubblicazione, giovedì, di un rapporto che rappresenta una novità assoluta per gli Stati Uniti.
L’ufficio del procuratore infatti, insieme allo studio legale Wilmer Hale e l'Innocence Project ha esaminato 25 condanne ai danni di uomini afroamericani. Per questi casi esiste il fondato motivo che si tratti di decisioni sbagliate, o peggio, dettate da un sistema giudiziario razzista.
Per Nina Morrison del Innocence Project «Questo rapporto mostra il devastante pedaggio umano causato da questi aborti di giustizia - e come molti di questi avrebbero potuto essere prevenuti prima che si tramutassero in condanne sbagliate».
Complessivamente gli anni di prigione riferiti ai casi esaminati ammontano a 426 anni di prigione, una cifra enorme anche perché i protagonisti sono praticamente solo afroamericani. Una realtà disvelata anche grazie ad un lavoro iniziato nel 2014 dalla Conviction Review Unit ( CRU). I reati attribuiti ai condannati sono molteplici ( furto con scasso, incendio doloso, stupro, rapimento, rapina e omicidio di vari gradi). Per molti si sono aperte le porte della prigione a vita.
Un altro vulnus per il diritto. Sono le statistiche a dimostrare infatti che mentre gli afroamericani sono il 13% della popolazione, il 28,3% di essi rappresenta il numero dei prigionieri che scontano l'ergastolo a partire dal 2009, e il 56,1% è costituito da persone che erano minorenni al momento dell’arresto.
Alcuni casi sono emblematici. Nel 1985 Scott Moore e Tony Stevens, allora 16enni, furono condannati per omicidio, rapimento, rapina a mano armata, la sentenza fu quella della prigione a vita. Moore ha scontato 29 anni di carcere e Stevens è morto in prigione dopo 15 anni. In realtà non risultano prove che i due guidassero un auto ( servita per l’omicidio) o che avessero una patente.
Mancano in molti casi quelle che la CRU chiama prove fisiche o testimoniali, spesso si da credito a dichiarazioni non accertate e vincolate dal pregiudizio.
Sono stati così evidenziati vari livelli di cattiva condotta da parte di polizia, pubblici ministeri e avvocati difensori, comprese confessioni false o inaffidabili, errate identificazioni dei testimoni, problemi di credibilità e plausibilità delle dichiarazioni. Ancora peggio è il fatto che per almeno 10 sentenze su 25 sono state escluse o addirittura nascoste prove a favore della difesa.
Una situazione che ora potrebbe portare al ribaltamento di numerose decisioni giudiziarie e alla cancellazione completa dei reati.
Tutto ciò mentre la società statunitense è ancora scossa dall’onda lunga delle proteste per l’uccisione di George Floyd, un contesto che non è certo sfuggito al procuratore Gonzalez: «Sono consapevole del fatto che pubblichiamo questo rapporto in un momento in cui l'uccisione di George Floyd a Minneapolis e la violenza razziale che ha suscitato, hanno riempito così tanti americani, incluso me, di rabbia e disperazione».