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Un regalo ai mafiosi, una follia, da un lato. Dall’altro, una scelta di civiltà giuridica e di umanità. La decisione della Cedu spacca in due il mondo della cultura giuridica e della politica, tra coloro che sottolineano la necessità di non arretrare sul terreno della lotta alle mafie e chi, invece, evidenzia l’esigenza di un carcere umano, che non entri in conflitto con la Costituzione. Ad aprire le polemiche, pochi minuti dopo la decisione di Strasburgo, è il presidente della Commissione Antimafia Nicola Morra, che parla di «offesa agli uomini di Stato».
E parla di «scontro» tra l'Italia e la Cedu, che consentirebbe così agli ergastolani di chiedere «risarcimenti milionari», mettendo inoltre «a rischio» il 41 bis. Una linea, quella di Morra, che conferma quella giustizialista condivisa da tutto il M5s. A partire dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che annuncia: «faremo valere in tutte le sedi le ragioni» del governo.
I benefici, per il Guardasigilli, sono accessibili solo a chi collabora con la giustizia, perché «di fronte alla criminalità organizzata bisogna reagire con grande determinazione». E a rincarare la dose ci pensa anche il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, secondo cui «se vai a braccetto con la mafia, se distruggi la vita di intere famiglie e persone innocenti, ti fai il carcere secondo certe regole». Mentre per il capogruppo del M5s in Antimafia, Mario Giarrusso, quello della Cedu sarebbe un atto «irresponsabile» al quale bisogna reagire «con fermezza», se necessario anche «rinunciando al Consiglio d'Europa».
Posizione che trova d’accordo anche il magistrato antimafia Nino Di Matteo, secondo cui «queste erano le aspettative degli stragisti», per soddisfare le quali sono state usate «le bombe» e l’ex procuratore nazionale antimafia Grasso, che parla di «una scarsa conoscenza del modello mafioso italiano». Una legge dura, quella sul carcere ostativo, «ma non incostituzionale», sostiene, in quanto «pone i mafiosi davanti a un bivio» : essere fedeli al proprio clan o allo Stato. Durissimo anche il magistrato Gian Carlo Caselli. «L'isolamento dei mafiosi - sottolinea - ha creato una slavina di pentimenti, ora che il quadro cambia, chi ha voglia di pentirsi ci penserà 300mila volte. La lotta alla mafia subirà dei rallentamenti».
Per Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il magistrato ucciso dalla mafia nella strage di via D’Amelio, si tratta di una decisione «inadeguata», che distrugge «le conquiste per le quali magistrati come Giovanni Falcone e mio fratello Paolo hanno anche sacrificato la vita». Si dice preoccupata anche Maria Falcone, sorella del magistrato Giovanni, che rivolge un appello alla politica: «trovare una soluzione che non vanifichi anni di lotta alla mafia e che sappia contemperare i diritti con la sicurezza dei cittadini».
E mentre i leghisti Matteo Salvini e Jacopo Morrone invocano il lavoro obbligatorio in carcere, opponendosi a qualsiasi ammorbidimento della legge per gli ergastolani, a rivendicare la correttezza della decisione dei giudici di Strasburgo ci pensa l’associazione Antigone. «Ci deve essere sempre una prospettiva di rilascio - afferma il presidente Patrizio Gonnella - E chiunque oggi dica che adesso si introduce un automatismo nell’uscita, afferma qualcosa non corrispondente al vero. Non c’è alcun allarme sociale».
Voce che si associa a quelle di Irene Testa, tesoriere del Partito Radicale, secondo cui «i diritti umani non sono negoziabili», e di Giandomenico Caiazza, presidente dell’Ucpi, che parla «pagina fondamentale nel recupero di valori che sono della Convenzione europea e della nostra Costituzione - sottolinea - E ora sarà importantissima la decisione della Corte Costituzionale in materia analoga».
E sulla questione intervengono anche due presidenti emeriti della Corte costituzionale, Cesare Mirabelli e Valerio Onida. Per il primo, «la Corte di Strasburgo difende i diritti dell’uomo e non può che essere orientata alla giustizia - sottolinea - certo dovrà essere rivista la disciplina del 41 bis, ma niente di allarmante. Il 41 bis potrebbe essere rivisto sulla base di un principio di personalizzazione dei casi».
Mentre per Onida, la normativa sull'ergastolo ostativo è «incostituzionale» e ora il legislatore deve modificarla. Se non lo facesse rischierebbe «nuove condanne», ma «penso che il problema sarà risolto dalla Corte costituzionale», che sulla questione si pronuncerà a breve.