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La Turchia non fermerà più l'esodo dei rifugiati siriani che scappano dal conflitto per andare verso l’Europa. E' questo uno degli effetti più eclatanti dello scontro che sta sconvolgendo la zona di Idlib dove è in corso un’emergenza umanitaria. La conferma è arrivata direttamente dal ministero degli Esteri di Ankara sempre più coinvolta nella guerra contro le forze armate di Bashar al Assad.
L'offensiva delle truppe governative, impegnate dai primi di dicembre dello scorso anno, contro l'ultima roccaforte dei ribelli, sta scatenando morte e distruzione e le violenze sono divampate ancora di più dopo l’uccisione di 33 soldati turchi da parte dei militari di Damasco.
La reazione di Erdogan è stata immediata, il Consiglio di sicurezza ha lanciato una controffensiva verso obiettivi del governo siriano nelle provincia centrale di Hama e a Ovest su Latakia, oltre a martellare con l'artigieria le posizioni intorno Idlib. Il risultato è stato quello di 16 soldati siriani uccisi. Un livello che preoccupante ma che cozza contro gli sponsor di Assad.
La Russia soprattutto imputa alla Turchia il sostegno fattivo militare alle milizie islamiste, circostanza negata da Ankara.
Le accuse rimbalzano sul campo di battaglia e i toni si sono alzati ancora di più, per il direttore della comunicazione della presidenza turca, Fahretin Altun «E' stato deciso di rispondere al regime illegittimo che ha ordinato l'attacco contro i nostri soldati».
Ora gli scontri hanno chiamato in causa anche la Nato, per l'Alleanza Atlantica oltre al segretario generale Jens Stoltemberg ha parlato il dipartimento di Stato Usa, pronto a sostenere l'alleato turco e a chiedere «una sospensione immediata di questa odiosa offensiva da parte del regime di Assad, della Russia e delle forze sostenute dall'Iran».
E sono proprio i turchi ad aver chiesto alla comunità internazionale una “no fly zone” su Idlib per evitare un genocidio. Sempre Altun ha paragonato quello che sta succedendo ai massacri del Ruanda e della Bosnia.
Ma l'umanitarismo di Ankara nasconde la preoccupazione che altri profughi siriani si aggiungano ai 3,7 milioni arrivati negli scorsi anni, quindi gioca la carta degli sfollati ancora una volta con l'Europa.
Si segnalano già gruppi di persone accampate al confine con la Grecia che ha rafforzato il controllo del confine segnato dal fiume Evros, che traccia anche la frontiera con la Bulgaria. Sui paesi europei si potrebbe riversare in tal senso un numero imprecisato di uomini, donne e bambini non più trattenuti dai turchi.
Tensioni su tensioni delle quali al momento a fare le spese sono le popolazioni civili.
L'ufficio per il coordinamento umanitario dell'Onu ha riferito che nell'area degli scontri armati si trovano almeno 950mila sfollati, di questi 569mila minori e 195mila donne. L' 80% delle comunità in fuga.