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E ora, a soli 39 anni, Emmanuel Macron è a pochi gradini dall’Eliseo, il punto più alto della piramide repubblicana, sulle spalle tutto il peso di un carriera folgorante e di un’aspettativa folle: quella di incarnare l’ultima diga dell’Europa contro l’alta marea populista. E di farlo anche plasticamente nella sua versione più stereotipata, nelle vesti del araldo delle élite finanziarie, del rampante paladino dell’establishment, congestionato nei suoi abitini blu- executive e ammantato di garrulo modernismo, tutto slogan e nessuna sostanza.
Ma liquidare Macron come un tecnocrate confezionato con lo stampino sarebbe un errore, l’uomo è più complesso e instabile di quanto appaia a vederlo lì che lancia gridolini isterici sul palco davanti i sostenitori di En Marche! la sua start- up politica, il “partito- Uber” che in poche settimane ha cannibalizzato i socialisti. Il movimento forse non avrà un’anima come dicono i suoi detrattori, ma non è una scatola di plastica, un tubo vuoto. Ed è animato dallo slancio vitale del suo ideatore, fin qui molto abile nel promuovere se stesso e il suo nebuloso sogno politico. Perché se la fortuna è decisiva, se l’opportunismo è necessario, senza il talento non puoi mai arrivare così in alto.
La storia inizia nel 1993 in un teatrino del liceo gesuita La Providence di Amiens, dove a fine anno gli studenti mettono in pie- di una piccola pièce. E siccome i gesuiti sono preti particolari, sono curiosi e intrisi di cultura, la scelta cade su Jacques et son maître omaggio di Milan Kundera a Denis Diderot, intellettuale dell’illuminismo e padre dell’Enciclopedia. A rubare l’attenzione è un giovane magrissimo con gli occhi spiritati, si chiama Emmanuel, «un piccolo genio», giura la sua insegnante di teatro, Brigitte Trogneux. Proprio lei, la sua futura consorte, all’epoca madre di tre figli e sposata con il banchiere André- Louis Auzière, una vita prevedibile e priva di slanci nella tranquilla provincia della Picardia.
Quasi una condanna per Brigitte che sprofonda nel bovarismo più cupo. Fino a quando incontra Emmanuel, entrambi trafitti dal colpo di fulmine. Galeotto fu uno scritto di Eduardo De Filippo, L’arte della commedia, che i due riadattano insieme per un altro spettacolo: «La scrittura ci univa e ci rendeva una cosa sola». Quando Emmanuel compie 17 anni Brigitte non le idee molto chiare sul suo futuro: deve trasferirsi nella capitale, frequentare Henry IV, il liceo della grande borghesia parigina e poi arrivare all’Ena, la Scuola nazionale di amministrazione dove viene forgiata la classe dirigente repubblicana. Prima di partire lui le lancia la promessa: «Io ti sposerò, qualsiasi cosa accada nella mia vita io ti sposerò». In pochi mesi Brigitte si separa dal marito e raggiunge il suo giovane compagno a Parigi dove assiste e partecipa attivamente alla nascita di un enfant prodige della politica.
Qui la sequenza degli eventi, la catena di coincidenze e opportunità colte è da togliere il fiato. Uscito a pieni voti dall’Ena, Macron entra come funzionario nel prestigioso Ispettorato delle finanze dove incontra Jean- Pierre Jouyet. Jouyet, uomo per tutte le stagioni e figura emblematica del potere occulto della Quinta Repubblica; influente e camaleontico ha lavorato con il socialista Jacques Delors nella commissione che ha messo in opera il Trattato di Maastricht ( 1992), è stato membro del governo Jospin ( 1997) dove ha lavorato al passaggio dal franco all’euro, poi ha servito il gollista Sarkozy ( 2007) che lo nomina ministro degli Affari europei e infine si ritrova Segiovane gretario generale dell’Eliseo ( 2012) durante presidenza Hollande. Sotto l’ala protettiva di Jouyet, a neanche 30 anni il giovane Macron è nominato dal presidente Sarkozy membro della prestigiosa Commissione Attali, un tink-tank che riunisce i grandi imprenditori e uomini di affari francesi, il club del "Cac40" (l'indice della borsa parigina) e che ha lo scopo di formulare le linee di politica economica da suggerire al governo. Qui Macron conosce Serge Weinberg che lo fa entrare alla Rotschild Bank dove lavora per quattro anni pilotando una fortunatissima operazione finanziaria da nove miliardi di euro diventando a sua volta milionario: l’acquisto di una filiale della Pfizer da parte del gruppo Nestlé: «Se fosse rimasto nel settore delle banche private sarebbe diventato il migliore negoziatore in tutta Europa», commenta François Henrot, braccio destro di Eduard Rotschild quando Macron decide di rientrare in politica.
È il 2012 e Jouyet lo vuole come vicesegretario all’Eliseo, anche Hollande rimane folgorato dall’entusiasmo e dall’iperattivismo di Macron. Tanto che nel 2014 lo nomina ministro dell’economia del governo Vals, una carica in vista gli permette di farsi conoscere dai francesi e di abbozzare il suo personalissimo progetto politico in vista delle elezioni presidenziali. Si dimette nel 2016, quando decide di non presentarsi neanche alle primare del Ps, convinto ( a ragione) che quel partito sia una zavorra alle sue ambizioni, che ormai lui è destinato a condurre le danze da solo.
L’ascesa vertiginosa di Emmanuel Macron si può anche leggere a ritroso, come in una seduta di psicoanalisi: lui nato in una famiglia di medici, il padre neurologo, la madre pediatra, il fratello cardiologo e la sorella nefrologa, un’apoteosi di camici bianchi, di igiene e prescrizioni, anche i sogni sono sbiancati in quell’orizzonte pulito di aspettative piccolo- borghesi. C’è allora bisogno di sporcarsi, di corrompersi, con l’amore ma anche con il potere. La sterzata che da giovanissimo ha dato alla sua vita e quelle che in seguito hanno segnato la sua carriera svelano una personalità volitiva ma anche un desiderio ossessivo per le rotture e per le svolte anticonformiste. C’è qualcosa di meccanico, di distopico nella scelta pazzesca di sposare l’amata Brigitte, nell’assalto all’arma bianca alle grandi scuole di Parigi e ai suoi palazzi del potere, qualcosa di instabile e robotico che va oltre l’ottimismo della volontà, qualcosa di obliquo e patologico che fa di Emmanuel Macron il più grande enigma della République.