L’atlantismo di Mark Rutte non è mai stato oggetto di dibattito, rivendicato da sempre con determinazione e fervore. E irrobustito all’invasione russa dell’Ucraina; tra i leader europei il premier olandese fu infatti quello che pronunciò le parole più dure nei confronti del Cremlino: «Se non fermiamo Putin lui non si fermerà a Kiev. Questa guerra è più grande dell'Ucraina stessa. Si tratta di sostenere lo Stato di diritto internazionale», disse nel settembre 2022.

Pensieri in buona continuità con il suo predecessore alla guida dell’Alleanza, il norvegese Jens Stoltenberg che lascia dopo 10 anni.

Lui, che da 14 anni esercita con scaltrezza il ruolo di primo ministro e che aveva annunciato il ritiro dalla vita politica per dedicarsi agli studi, da ieri è il nuovo segretario generale della Nato. Una notizia accolta con entusiasmo dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky che vede in Rutte un coraggioso paladino della causa ucraina, favorevole all’invio di missili capaci di colpire il territorio russo e anche, come ultima risorsa, a quello delle truppe occidentali sul fronte ucraino: «È un leader forte, rispettoso dei principi e che ha più volte dimostrato la sua risolutezza e la sua visione nel corso degli anni».

Chissà se la gravità del contesto internazionale e del ruolo, aiuteranno Rutte a scrollarsi di dosso la nomea di politico abile ma algido e distaccato, “mister teflon” o “mister silicone” come lo chiamano i media olandesi, o “Makke Rutte” (il docile Rutte), ironizzando sulla leggendaria adattabilità ai limiti del trasformismo che negli anni lo ha portato ad allearsi con la sinistra, con il centro e con la destra, oppure a dichiararsi grande fan di Ronald Reagan, ma anche di Bill Clinton. ma anche di John Fritzgerald Kennedy. Oppure ancora a sostenere la linea dura sul deficit della Commissione Ue, capofila dei Paesi “frugali” per poi, qualche tempo dopo, affermare di voler «ridurre il fossato tra i ricchi e i poveri», uscita che gli valse il beffardo nomignolo di “Marx Rutte”. Ha cambiato posizioni anche sul negazionismo, reato che appena diventato premier nel 2010 aveva deciso di depenalizzare per poi porgere le scuse

nel 2020 alla comunità ebraica per le persecuzioni di cui fu vittima nei Paesi bassi.

I nomi di diversi candidati alla successione di Stoltenberg hanno circolato negli ultimi mesi, da Mette Frederiksen, attuale primo ministro danese, alla sua controparte estone, Kaja Kallas, passando per l'ex ministro della Difesa britannico Ben Wallace. Di rito le sue prime parole come segretario generale dell’Alleanza atlantica pubblicate su X: «È un immenso onore ricoprire un ruolo così importante. L'Alleanza è e rimarrà la pietra angolare della nostra sicurezza collettiva. Guidare questa organizzazione è una responsabilità che non prendo alla leggera. Sono grato a tutti gli alleati per aver riposto in me la loro fiducia. Non vedo l'ora di assumere l'incarico con grande vigore in ottobre, come successore di Jens Stoltenberg, che ha fornito alla Nato una leadership eccezionale negli ultimi 10 anni e per il quale ho sempre nutrito grande ammirazione».

Tra i dossier più complicati da affrontare non solo la guerra geo- strategica con la Russia di Vladimir Putin ma anche le relazioni con gli Stati Uniti alla luce della possibile rielezione di Donald Trump II tycoon ha infatti posizioni molto dure nei confronti dei membri europei della Nato, trattati più o meno come degli “scrocconi” che accollerebbero agli Stati Uniti il grosso delle spese. Ma c’è un precedente che lascia ben sperare: pochi ricorderanno l’incontro tra Rutte e Trump avvenuto nel 2019 in cui il leader olandese è riuscito a convincere il presidente americano della serietà dell’impegno degli europei a spendere di più per la loro difesa, una promessa mantenuta dal premier olandese che in tre anni è riuscito a raddoppiare il budget della difesa che è passato dall’ 1% al 2% del Pil.