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Izmit, Turchia – 14 giugno 2022
Il 14 giugno per gli avvocati turchi è la Giornata per il Giusto Processo e la iniziativa sta assumendo a poco a poco un carattere internazionale con il nome di Fair Trial Day. È stata scelta la data del 14 giugno perché è la data dell’anniversario della nascita di Ebru Timtik, morta il 28 agosto 2020 dopo 238 giorni di sciopero della fame in carcere per chiedere un giusto processo per sé e per altri 17 avvocati coimputati nello stesso processo.
Ironia della sorte, questo 14 giugno davanti alla corte di Izmit era stato fissato e si è svolto il processo contro la collega Berrak Cialar, imputata di terrorismo per essere stata l’avvocata che difendeva Ebru proprio nella fase processuale durante la quale si innestò il suo sciopero della fame, dunque negli ultimi mesi di vita. Paradossi turchi: Ebru doveva rispondere di terrorismo (e fu condannata a 13 anni) per avere difeso, anche, ma non solo, ovviamente, dei terroristi; ora Berrak deve rispondere di terrorismo per avere difeso Ebru che difendeva dei terroristi.
Il paradigma dell’appiattimento del difensore sul reato del suo assistito (frequentissimo a ogni latitudine) qui rifulge al quadrato. Ma è questa la verità: il capo di imputazione riporta tutti i comunicati stampa e i colloqui coi giornalisti di Berrak in quei mesi, quando spiegava agli interlocutori perché Ebru fosse in sciopero della fame e cosa chiedesse, niente di più. D’altra parte, nulla di più Berrak poteva fare, se non riportare – peraltro sempre con molta cautela – le ragioni della propria assistita. Per questo rischia da tre a dodici anni, essendo imputata della semplice partecipazione all’associazione terroristica PKK. Per fortuna Berrak non si presenta in vincoli: fu fermata e trattenuta per soli due giorni, ma non ne fu disposto l’arresto.
In questo modo la catena delle imputazioni può non finire mai. Ed infatti è proprio così. Insieme a Berrak è imputato dello stesso reato e degli stessi fatti il marito Ali Sinan Cialar, giornalista, che avrebbe sostenuto la moglie nel commettere il reato. Cosa che è vero, che Ali abbia sostenuto Berrak, perché questa è totalmente non vedente e quindi ha bisogno di sostegno in ogni spostamento, anche quando difende davanti ai tribunali o visita gli assistiti in carcere. Non dicasi quando deve comporre una mail o inviarla. Naturalmente, non ho potuto trattenermi dal chiedere alla collega Elvan Olkun, che conosco da anni, come ci si senta nella posizione di un’avvocata che difendendo una collega accusata di terrorismo con ogni probabilità sarà accusata lei stessa dello stesso reato. Elvan ha alzato gli occhi al cielo, aggiungendo Inshallah! Ma certo non posso lasciare da sola Berrak”.
L’udienza ha avuto il solito andamento che hanno le udienze di questo tipo. A Berrak è stata tolta la parola quando ha cercato di spiegare il tenore delle sue dichiarazioni di allora alla stampa che voleva sapere perché la sua assistita andava incontro alla morte. Poi la giovane presidente ha rinviato ad ottobre per acquisire tutti i file dei processi precedenti subìti da Ali, che è giornalista schierato per i diritti umani, sempre assolto, nonostante un presofferto di parecchi anni.
Viene da chiedersi, ovviamente, come possano accadere simili aberrazioni: la risposta credo che stia nella struttura stessa del potere di Erdogan: quando qualunque esponente dell’opposizione, più o meno intransigente, viene individuato come nemico e tutta la dinamica si incentra nell’antitesi amico- nemico è fatale che al nemico non si riconosca alcun diritto.