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«Lui andò subito al sodo chiedendomi se non avessi letto ciò che aveva dichiarato Bobo Craxi, segretario cittadino del Psi, a commento dell’arresto di Chiesa: “si vede che è cominciata la campagna elettorale”».
Eletto ripetuto dal 1972 a Milano, per quanto orgogliosamente fiorentino, nelle liste del Partito Repubblicano con la iniziale e pubblica sponsorizzazione pubblica dell’amico Indro Montanelli, che per solidarietà aveva lasciato il Corriere della Sera quando lui ne aveva perso la direzione, da presidente del Senato Giovanni Spadolini si faceva ospitare nelle sue visite ambrosiane dalla Prefettura. Dove spesso, in suo onore, veniva organizzato un incontro con le autorità locali e con una rappresentanza della stampa che sceglieva lui personalmente. Fu così che vi fui invitato, essendo direttore del Giorno, oltre che amico, qualche giorno dopo l’arresto del socialista Mario Chiesa, nel febbraio del 1992, e l’esplosione di quella che sarebbe stata chiamata Tangentopoli. Spadolini dall’anno prima era diventato senatore a vita, ma non aveva voluto perdere per questo i contatti con la “sua” ormai Milano. Fra le autorità presenti a quell’incontro c’era il capo della Procura della Repubblica Francesco Saverio Borelli.
Che se ne stava un po’ in disparte, in un angolo della sala, a sorseggiare uno spumantino quando Spadolini mi prelevò da un gruppo di colleghi e mi accompagnò da lui per presentarmelo. Ebbi la sensazione, forse sbagliata, per carità, ma avvertita dopo che fummo rapidamente lasciati soli, che quella presentazione non fosse stata casuale.
Appena allontanatosi il presidente del Senato, Borrelli mi chiese con un certo risentimento, che mi sorprese proprio perché non ci eravamo mai conosciuti, ma evidentemente motivato dai miei noti rapporti di amicizia con Bettino Craxi, se “a casa del presidente” fossero “impazziti”. Cercai di fare il finto tonto chiedendogli a quale “presidente” si riferisse. E lui andò subito al sodo chiedendomi se non avessi letto ciò che aveva dichiarato Bobo Craxi, segretario cittadino del Psi e consigliere comunale, a commento dell’arresto di Chiesa: “si vede - aveva detto pressappoco il figlio dell’ex presidente del Consiglio- che è cominciata la campagna elettorale” per il rinnovo delle Camere, per cui in effetti si votò il 5 aprile di quell’anno.
Francamente a disagio per tanta franchezza , diciamo così, di Borrelli alle prese con un giornalista, gli chiesi che cosa potesse fargli pensare che Bobo Craxi avesse parlato in quel modo a nome del padre, peraltro commentando non solo l’arresto di Chiesa ma anche le reazioni politiche degli avversari del leader socialista. Ma Borrelli, con franchezza crescente e per me sempre più imbarazzante, mi lasciò quello che io ritenni, magari a torto anche questa volta, un messaggio. Che poi, alla prima occasione di un incontro personale a Roma, non fidandomi del telefono, vi confesso, riferii a Bettino senza ricevere una parola di commento. Colsi solo sul suo volto una smorfia di sorpresa e fastidio.
“Vorrei che il presidente sapesse - mi aveva detto all’incirca Borrelli- che l’arresto di Chiesa è avvenuto in flagranza di reato, dopo mesi di indagini, per mia espressa volontà, proprio perché nessuno potesse commentarlo come ha fatto Bobo Craxi”, cioè strumentalizzandolo - mi parve di capire- in chiave politica.
Non ebbi altre occasioni di incontro con l’allora capo della Procura della Repubblica di Milano. Né mi lamentai dell’accaduto con Spadolini, pur essendone stato tentato, per non metterlo in imbarazzo né come amico né come seconda carica dello Stato.