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Il 29 settembre del 1899, il Presidente della Repubblica Loubet, per mettere fine allo scandalo della condanna doppia di un innocente, e del quale ormai tutto il mondo sapeva, firma la Grazia per Dreyfus, rendendolo, dopo circa sei anni di vera e propria tortura, alla moglie e ai figli.
Dieci giorni dopo, Zola pubblica questa appassionata e appassionante lettera alla moglie di Dreyfus, che costituisce una sorta di sintesi della sua posizione pubblica.
Innanzitutto, egli mette in chiaro, con molta onestà intellettuale, di aver creduto, sulle prime, trattarsi soltanto di un errore giudiziario – grave e spiacevole – ma sempre un errore e nulla di più.
Solo poco alla volta, si era invece reso conto che si trattava di una mostruosa macchinazione difficilissima da smontare e in forza della quale “tutte le potenze sociali erano alleate contro di noi”, cioè contro coloro che difendevano Dreyfus e che invece contavano solo sulla forza della verità.
Da questo punto di vista, Zola rappresenta davvero la figura del moderno intellettuale, libero da condizionamenti ideologici, capace di coltivare una idea politica – in quanto essere pensante – ma altrettanto capace di contraddirla se ce ne fosse stato bisogno.
Ecco perché, per lui, che Dreyfus fosse ebreo, cattolico o maomettano non poteva che essere indifferente: bastava fosse un uomo.
Ma Zola non manca di mettere il dito sulla piaga, sulla vera piaga, evidenziando che la Grazia, pur mettendo fine alle terribili sofferenze di Dreyfus, è “amara”.
E perché sarebbe amara?
Lo è per il semplice motivo che mentre la Grazia concessa dal sovrano – in questo caso dal Presidente – non si basa sul riconoscimento della innocenza della persona graziata, ed anzi ne presuppone la colpevolezza, per ragioni di elementare giustizia, Dreyfus doveva essere assolto nel merito da ogni imputazione, e non soltanto perdonato.
Zola denuncia senza mezzi termini la pochezza di una nazione che – come la Francia – nella incapacità di rendere giustizia, cioè a ciascuno il suo, debba ricorrere alla misericordia del perdono.
Ciò è null’altro che voler essere “buoni”, quando non si è capaci di essere “forti”.
Ma in questo modo – c’è da aggiungere – si mistifica allo stesso tempo sia la giustizia, sia la misericordia.
Infatti, la vera misericordia suppone sempre che sia stata preliminarmente soddisfatta la giustizia.
Solo se la giustizia non ha più nulla da pretendere, può legittimamente entrare sul palcoscenico del mondo la misericordia, la quale, secondo il tradizionale insegnamento della scolastica, non nega mai la prima, ma anzi la porta a compimento.
Se per ragioni di stretta giustizia devo pagare una somma a un mio creditore che mi concesse un prestito, non posso certo restituirgliela a titolo di misericordia: quella somma gli è dovuta, punto e basta.
Se invece farò dono di una somma a un indigente per consentirgli di sfamarsi, quella sarà vera misericordia.
Ebbene, graziando Dreyfus, è come se la Francia abbia preteso di concedere per la misericordia del perdono quella “elemosina della libertà” – scrive efficacemente Zola – a chi invece aveva diritto di essere riconosciuto del tutto innocente del delitto per cui era stato condannato.
Insomma, una meschinità della quale vergognarsi e indegna di una nazione che accampi il merito di aver fatto da apripista nel dissodare l’aspro terreno dei diritti e della libertà.
Ecco dunque l’annuncio alla destinataria dello scritto e al mondo intero: Zola non si fermerà, fin quando l’innocente Dreyfus non avrà ottenuto la piena riabilitazione.
Certo, lo scrittore comprendeva bene le motivazioni empiriche che avevano indotto il Presidente Loubet a concedere la Grazia.
Loubet aveva ben compreso probabilmente l’innocenza di Dreyfus, ampiamente dimostrata dalla precipitosa fuga del vero colpevole – Esterhazy – in Inghilterra; dal suicidio di Henry, l’autore del falso documento che era servito per condannare Dreyfus; dall’arresto di Paty du Clam, il vero e terribile autore della spudorata macchinazione. E perciò sperava che la Corte di Rennes avrebbe rimediato al misfatto, avendo del resto in mano gli elementi processuali per farlo. Ma non aveva fatto i conti con lo spirito corporativo di quei sedicenti giudici, tanto intenso da sfociare nella stupidità, se stupido è – secondo una nota definizione di Carlo Cipolla ( autore di un sapido libretto sulle leggi fondamentali della stupidità umana) – colui che per danneggiare un altro ( Dreyfus), alla fine danneggia anche se stesso ( la Corte di Rennes e l’intero esercito).
Di fronte a questa perdurante e in definitiva stupidissima ostinazione della Corte di Rennes, e probabilmente diffidando della stessa Cassazione alla quale si poteva pur inoltrare ricorso, al Presidente non restava che la Grazia, utile per finirla una buona volta con questa terribile storia che aveva infangato la reputazione della Francia in tutta Europa.
Ma per la seconda volta, egli non aveva fatto i conti con un’altra ostinazione, ben più ragionata della prima: quella di Zola, nel richiedere a gran voce la piena riabilitazione di Dreyfus.
“Che l’innocente sia riabilitato, soltanto allora la Francia sarà riabilitata con lui”.