La capacità argomentativa, la tonicità fisica, le parole pronunciate con chiarezza e con voce ferma sono state sostituite nel dibattito televisivo tra i due candidati alla Casa Bianca, Joe Biden e Donald Trump, dagli insulti reciproci e dalla ripetitività. Un disastro a detta dei commentatori; “uno choc” per dirla con le parole dell’analista politico di fede democratica David Axelrod. Complessivamente si è trattato di uno show, che, secondo la logica televisiva, concentrata sull’audience, ha rappresentato un successo per la Cnn con buona pace per la qualità della proposta politica.

Il primo match davanti alle telecamere, in uno studio senza pubblico, ha deluso e al tempo stesso ha aperto la discussione soprattutto tra i democratici sul futuro di Biden. Sarà ancora lui il candidato alle prossime presidenziali? Ha la lucidità per affrontare l’estenuante campagna elettorale che porterà al voto d’autunno? Sono queste alcune domande che assillano gli esponenti del partito del presidente uscente e che abbiamo rivolto a Gianluca Pastori, professore associato di Storia delle relazioni politiche tra Nord America ed Europa nell'Università Cattolica di Milano. Pastori, inoltre, si occupa di Relazioni transatlantiche nell’Ispi. «L'eventualità – dice il professor Pastori - che Biden non sia più il candidato alla presidenza dipende dallo stesso Biden con la decisione di farsi da parte. Credo che in questo momento gli sforzi del partito democratico vadano soprattutto in questa direzione. Prima ancora che sull’individuazione di un nuovo candidato, penso che ci sarà un’opera di persuasione, una pressione sul presidente perché si faccia da parte».

Nel caso di un passo indietro di Biden circolano già diversi nomi. «Tra questi – afferma Gianluca Pastori - quello di Michelle Obama. Raccoglierebbe sicuramente molti consensi, ma non credo che si insisterebbe troppo sulla ex first lady. Un altro nome, per il ruolo ricoperto, è quello della vicepresidente Kamala Harris. Dal punto di vista istituzionale è forse la persona più adatta a sostituire Joe Biden. Ci sono pure alcuni governatori che sembrano spendibili per la corsa alla Casa Bianca. Tra questi Gavin Newsom, governatore democratico della California. Alcuni osservatori lo danno però favorito per una candidatura presidenziale nel 2028. Da non trascurare, inoltre, la governatrice del Michigan, Gretchen Whitmer, considerata da più parti molto quotata».

L’eventuale sostituzione di Biden presenta non poche insidie, come evidenzia il responsabile Relazioni transatlantiche dell’Ispi. «I profili appena richiamati – commenta Pastori - si troverebbero a presentare la loro candidatura a campagna elettorale avanzata. Il rischio di bruciarsi, di fallire e di giocarsi la credibilità per le presidenziali del 2028 potrebbe essere un elemento di freno. Parliamo di politici, come Newsom, che hanno già pianificato una discesa in campo fra quattro anni. Non so quanta voglia abbia Newsom di affrontare adesso una campagna elettorale che si annuncia difficile. Iniziare solo adesso a raccogliere consensi è molto rischioso. Ecco perché Kamala Harris sarebbe la persona più adatta. Costruirebbe la campagna elettorale sull’esperienza di quattro anni alla Casa Bianca. Non essendo un newbie, può fare leva su questo fattore».

Per quanto riguarda invece il versante repubblicano, sostenere che Trump abbia vinto il dibattito di due giorni fa negli studi della Cnn sarebbe semplicistico. «Di sicuro – evidenzia Pastori – il tycoon ha performato meglio di Biden. Direi però che è stato Biden a perdere il confronto televisivo. Trump si è dimostrato quello che è e che è stato alla Casa Bianca per quattro anni. Ha ripresentato la solita immagine di figura molto aggressiva. Quando gli è stato chiesto se fosse disposto ad accettare una sconfitta nel voto di novembre, Trump non ha risposto. La domanda gli è stata fatta in tre occasioni e si è sempre sottratto dal dare una risposta. Ancora una volta ha parlato ai suoi tifosi, agli elettori che lo voterebbero comunque».

La massima aggressività Trump l’ha sfoderata quando si è rivolto al presidente degli Stati Uniti in merito alla crisi in Medio Oriente. «Ti comporti come un palestinese – ha detto il tycoon rivolgendosi a Biden - ma non piaci neppure a loro, perché sei un palestinese debole». «Un approccio noto – conclude il professor Gianluca Pastori -, considerata la politica mediorientale dell'amministrazione Trump negli anni passati. Pensiamo al trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, agli "Accordi di Abramo", alle varie proposte di pace avanzate dalla sua amministrazione tutte fortemente sbilanciate in senso filo-israeliano. Il linguaggio di Trump continua ad andare fuori dai canoni della buona educazione politica. Fino alle elezioni, sul fronte repubblicano penso che non accadrà nulla di particolarmente rilevante. È ancora in discussione il nome del vicepresidente, ma credo che non sapremo nulla fino alla convention. Le situazioni più delicate riguarderanno i democratici con il tentativo di fare ritirare Biden dalla corsa per la Casa Bianca e trovare in tempi brevi un sostituto accettabile. In questa fase peseranno pure i sondaggi».

Le prossime settimane saranno decisive. Le elezioni presidenziali del 5 novembre sono dietro l’angolo. I balbettii, la raucedine e i pensieri, per alcuni tratti senza un senso logico, di Joe Biden hanno mandato nel panico i democratici, che affronteranno un’estate calda in tutti i sensi.