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Dal Convegno evento di Venezia le risposte ai rebus posti dal Dl Semplificazioni sulla giustizia amministrativa, penale e contabile
Capita, alle attività delle amministrazioni, di venire a contatto con giudici diversi (civili, penali, amministrativi, contabili, tributari...) E i confini tra loro sono spesso imprecisi. Meglio averne troppi che non averne abbastanza, verrebbe da pensare. Ma, talvolta, i problemi “di vicinato” tra giudici emergono, investono la Corte costituzionale, finiscono alla Corte di Giustizia, creano incertezza nella tutela. E talvolta si diffonde anche l’idea che alcune giurisdizioni si siano “allargate” troppo, e che debbano essere “riconfinate” per legge.
Così per i giudici amministrativi, che non devono bloccare le opere pubbliche: idea non nuova, figlia del mito che basterebbe sopprimere i Tar per avere un incremento del Pil (in un calcolo che dimentica il valore della legalità). Così per il giudice erariale e per quello penale, che non devono bloccare l’azione amministrativa provocando la “paura della firma” in chi deve decidere.
Oggi dunque alle questioni di fondo sui rapporti tra giurisdizioni si aggiungono norme di origine emergenziale – in particolare il decreto Semplificazioni – che incidono su molti aspetti della giustizia. A trattare di tutto ciò, un convegno sulle “giurisdizioni sconfinate”, il 13 novembre scorso, svolto a Venezia ma da remoto (è paradossale, ma va così). Un dialogo sulle giurisdizioni, tra le giurisdizioni (con esponenti ai vertici della Cassazione, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti ma anche di un soggetto sui generis come l’Anac). Un linguaggio chiaro, giornalistico ma “tecnico” – Errico Novi a condurlo – nel confronto con l’avvocatura e il mondo accademico.
L’impressione, in effetti, è di essere dentro a un cambiamento accelerato. Per dire: oggi il riparto tra giurisdizioni risale sostanzialmente a un accordo tra Cassazione e Consiglio di Stato del 1930 – il concordato Romano-D’Amelio – e forse a prima ancora. Si può pensare che tra altri novant’anni quel concordato resterà un punto di riferimento? Ci saranno modifiche tecnologiche e ambientali radicali, fenomeni demografici e migratori, nuovi assetti culturali ed economici, e rimarrà quel concordato? È più probabile che lo si andrà anche a cercare, ma per un interesse storico, come oggi facciamo con qualche testo di diritto romano.
Invece, sui tempi lunghi, rimarrà l’eredità di quest’anno, il 2020: con la scoperta della nostra fragilità, con l’esperienza del “lockdown”, con la difficoltà di garantire libertà che pensavamo incomprimibili. Anche nel mondo della giustizia, quest’anno ci ha messo di fronte ai temi fondamentali nella loro essenzialità.
Ad esempio, abbiamo dovuto interrogarci come mai prima sul significato dell’udienza – intesa come argomento discusso a voce – nelle diverse giurisdizioni. Può essere sacrificata? Quando non può esserlo, come deve svolgersi? Anche telematicamente? Cos’è che deve essere assicurato?
E così anche per il significato stesso dell’esistenza dei diversi giudici. Che – come detto dal presidente Patroni Griffi a Venezia (da remoto) – non può essere l’accaparramento di giurisdizione e la rivendicazione di poteri tra Corti, ma la messa a disposizione di tutti di “un sistema pieno, integrato e soprattutto armonico di tutele”.
Ma, per concorrere a tale sistema, quali poteri deve avere il giudice amministrativo? Deve bloccarsi di fronte al fatto che sia già intervenuta la stipula di un contratto di appalto? La risposta data dal decreto Semplificazioni è che sì, di regola il contratto già stipulato resiste alle illegittimità del procedimento che ha portato alla sua stipula. Non importa se viene così consolidato un contratto “sbagliato”, a scapito di chi avrebbe dovuto essere il contraente “giusto” ma non lo è stato. Anzi, stabilisce il decreto Semplificazioni che il contratto venga stipulato senza dilazioni. E dopo il contratto, certo, resta la tutela risarcitoria; che però – in concreto – pochi hanno avuto la sorte di vedere.
E le parti, davanti al giudice, sono davvero uguali? (se è un giudice, dovrebbe essere così, anche quando vi sia una parte portatrice di un interesse pubblico). Il decreto Semplificazioni obbliga il giudice a considerare in sede cautelare il preminente interesse nazionale alla sollecita realizzazione dell’opera. Ma in tal modo il giudice deve farsi carico di una valutazione che spetta piuttosto alla Pa. E dunque, in fin dei conti, quali sono le ragioni per cui l’amministrazione deve avere un proprio giudice?
Passando alla giurisdizione erariale: a quali condizioni si risponde, come funzionario o come amministratore, del danno che si reca alla propria amministrazione? È giusto che non si risponda, purché non si rimanga inerti? La risposta del decreto Semplificazioni è sì, è giusto se si tratta di fatti commessi con colpa grave fino al 31 dicembre 2021. Ma l’irresponsabilità può andare a periodi?
E ancora, in sede penale: la violazione delle regole dell’agire amministrativo può talvolta costituire di per sé un reato. Ma la violazione di quali regole? Il riferimento è alla riforma dell’abuso d’ufficio – non è la prima – diretta a limitare le illegittimità che possono avere rilevanza penale. Va bene: ma, come ben rilevato dal presidente Fidelbo, serve davvero riscrivere la definizione del reato se la sanzione non sta nel modo in cui si chiude il processo penale, ma nel modo in cui si aprono le indagini? Tutte domande di stretta attualità, ma dietro alle quali vi sono passaggi fondamentali della nostra vita sociale.
*Presidente dell’Associazione veneta avvocati amministrativisti