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Il fondo di ispirato fanatismo che anima la kermesse è parte del Dna della nazione, del culto spasmodico del Secondo emendamento, della cupa attrazione per la giustizia privata, perché come recita un fortunato slogan in gun we trust. I 360milioni di esemplari di armi da fuoco che circolano nel paese ( più di una per abitante) stanno lì a testimoniarlo, oltre a rappresentare un mercato praticamente inasauribile che vanta una media di un milione e mezzo di articoli acquistati ogni mese. L’ascesa del terrorismo jihadista ha poi dato un’ulteriore slancio vitale ai produttori: solo nel 2016 la Smith & Wesson a raddioppiato la sua cifra di affari e triplicato il valore del suo titolo alla Borsa di Wall Street. Un fiume di dollari, molti dei quali vanno dritti dritti nelle già pingui casse dell’organizzazione. Soldi spesi bene perché al mondo nessuno meglio di loro è in grado di difendere il diritto all’autodifesa.
La Nra è un’organizzazione così influente che in molti non esitano a paragonarla a un virtuale terzo ramo del Congresso, capace di mettere al libro paga deputati e senatori, di dettare l’agenda politica ai governi e persino di decidere gli inquilini della Casa Bianca. Fu così nel 2000 quando il democratico Al Gore venne impallinato dalla lobby che spese oltre 20 milioni di dollari per una campagna denigratoria nei suoi confronti: l’allora candidato democratico fu sconfitto di strettissima misura da George W. Bush, perdendo in Tennessee ( il suo Stato) e in Arkansas ( lo Stato di Bill Clinton). L’anno precedente aveva osato sfidare il presidente della Nra Charlton Heston, proponendo una legge che limitasse il porto d’armi. Il celebre inteprete di Ben Hur gli rispose con una frase che ancora oggi manda in visibilio i fans: «Vi darò la mia pistola quando la prenderete dalla mia fredda mano senza vita». E poi gliela fece pagare cara, decretando di fatto la fine della sua carriera politica.
Fondata nel 1871 per difendere i diritti dei cacciatori, nel corso del tempo si è sempre più politicizzata, diventando un attore centrale della vita politica d’oltreoceano. Sei milioni iscritti dichiarati, un budget annuale di circa 300milioni di dollari, una presenza capillare nei media con campagne mirate di advertising e sondaggi quasi quotidiani più uno stuolo di studi legali al servizio.
E poi il leggendario database (“l’archivio” avrebbe detto il Divo Andreotti) costantemente aggiornato con cui sono tenuti sotto controllo i membri del congresso a seconda del loro grado di vicinanza alla Nra: ciascun deputato e senatore riceve una voto che va dalla A alla F a seconda della forza e della convinzxione con cui difende le idee e gli interessi della lobby. I voti sono resi pubblici in modo che ciascun difennsore dalla causa possa individuare facilmente amici e nemici.
Con le dovute eccezioni gli amici sono quasi tutti esponenti repubblicani, mentre i nemici quasi tutti membri del partito democratico. Il più odiato negli ultimi anni è naturalmente l’ex presidente Barack Obama che a più riprese ha sbattuto la testa contro il grantico muro della Nra e alla fine ha dovuto alzare bandiera bianca rinunciando al suo progetto di vincolare la vendita libera a criteri più severi. Al contrario, l’intemerata di Obama ha provocato l’effetto contrario come ha ironizzato Louis Navellier, direttore di un fondo di investimento in Nevada e grande finanziatore della lobby: «I numeri lo provano: la minaccia di limitazioni ha fatto lievitare le vendite, Obama si rassegni, il più grande venditore di armi da fuoco del pianeta è proprio lui».
Non stupisce che uno dei principali sostenitori della Nra sia il presidente Trump che nella campagna elettorale dello scorso anno ha eccitato gli iscritti esibendosi in un pirotecnico show davanti una folla in tripudio: «Non vi lascerò mai amici miei, vi prometto che le armi si potranno usare ovunque negli Stati Uniti, noi in famiglia siamo tutto membri della Nra, lo sono io e lo sono i miei figli che hanno così tante pistole che inizio a preoccuparmi».
Peccato che appena quattro anni prima dopo la sparatoria di Newtown ( 27 morti in una scuola elementare del Connecticut), Trump si fosse detto «in perfetta osmosi» con la linea di Obama e che alla fine degli anni 90 avesse criticato con asprezza la Nra e il partito repubblicano «che non vogliono accettare compromessi».