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Il Consiglio superiore della magistratura ha votato ieri il parere sulle recenti misure previste dal governo per contrastare l’emergenza Covid-19. La parte più dibattuta è stata quella relativa alle “disposizioni in materia di detenzione domiciliare” e alle “licenze premio straordinarie per i detenuti in semi libertà”. Due temi che hanno fatto emergere profonde divergenze all’interno della magistratura. Le nuove disposizione prevedono una procedura “semplificata” da parte dei giudici di sorveglianza per la concessione della detenzione domiciliare ai detenuti a cui rimane da scontare una pena non superiore ai diciotto mesi.Il tribunale di sorveglianza, come indicato nel Dl n. 18 dello scorso 17 marzo, potrà decidere sullo stato degli atti, senza attendere la relazione della Direzione dell’istituto di pena. Unico paletto, la non presenza di condizioni “ostative” e, soprattutto, la disponibilità del braccialetto elettronico.Strumento quest’ultimo che, come è stato ricordato, non essendo spesso disponibile, potrebbe rendere di fatto irraggiungibile le finalità deflattive del Dl. Giuseppe Cascini, togato di Area, il cartello progressista della magistratura, ha allora avanzato la proposta di prevedere la detenzione domiciliare «per tutti coloro che stanno scontando una pena al di sotto dei due anni». L’ex segretario dell’Anm ha ricordato che sono 120 mila le persone, fra detenuti ed operati, giornalmente presenti nelle carceri. Numeri ad altissimo rischio contagio per l’impossibilità di mantenere il distanziamento sociale previsto dalle disposizioni sanitarie. Sul punto ha ricordato l’esempio di Emanuel Macron che in Francia ha provveduto all’immediata scarcerazione di 5000 detenuti. Proposta respinta da Nino Di Matteo, secondo cui si tratterebbe di un «indulto mascherato». Il pm della Trattativa Stato-mafia ha bollato l'idea come un “ricatto” allo Stato da parte della criminalità. Dietro le sanguinose rivolte dei primi giorni di marzo ci sarebbe, secondo Di Matteo, un’unica regia criminale. Affermazione poi ridimensionata dalla togata di Magistratura indipendente Paola Braggion che ha ipotizzato come causa scatenante delle rivolte la limitazione dei colloqui.