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«La questione Siri si è chiusa. Se non si dimette lui si andrà in Consiglio dei ministri e si voterà il decreto proposto dal Presidente». Luigi Di Maio torna sulla decisione del premier Giuseppe Conte di allontanare da Palazzo Chigi il sottosegretario leghista ai trasporti indagato per corruzione e getta altra benzina sul fuoco. I rapporti con l’alleato sono ormai ai minimi storici, eppure il capo politico del Movimento 5 stelle non si preoccupa di possibili ripercussioni sulla maggioranza. Anzi, senza dar retta ai sondaggi, Di Maio fa pesare il peso del suo partito in Parlamento, il doppio rispetto al Carroccio, e rilancia: «Conti alla mano il M5S ha la maggioranza assoluta in CdM, quindi i numeri sono dalla nostra parte. Spero che non si arrivi ad un voto». In altre parole: se Siri non farà un passo indietro spontaneamente, alla prossima riunione dell’esecutivo ci penseranno i grillini a far accomodare alla porta il sottosegretario leghista. Una mossa estrema da scongiurare per evitare, di fatto, la fine dell’alleanza di governo. «Conosco un po’ la Lega e un po’ Salvini, sono persone intelligenti che hanno a cuore questa esperienza di governo. Far cadere il governo per un’inchiesta di corruzione su un sottosegretario leghista mi sembra un po’ azzardato.
L’ultimo è stato Mastella sul governo Prodi sull’inchiesta che partì a Ceppaloni», spiega ironico Di Maio, convinto che Conte abbia «fatto una scelta di buonsenso». Non solo, il ministro del Lavoro commenta anche il gesto di Siri di pubblicare un post su Facebook pochi minuti prima della conferenza stampa in cui il presidente del Consiglio avrebbe annunciato la sua decisione. «Nel comunicato dice che dopo essere stato ascoltato dai magistrati avrebbe fatto passare altri quindici giorni e poi forse si sarebbe dimesso», dice il vice premier. «Questo significa andare oltre le Europee.
Questa cosa sembra un mossa da Prima Repubblica», attacca il leader pentastellato.
Il ministro dell’Interno, dal canto suo, lascia che i 5Stelle si scaldino ma liquida come «beghe», su cui non ha il tempo di soffermarsi, le polemiche su Siri. «Gli italiani mi chiedono meno tasse. La flat tax è un’emergenza nazionale, la riduzione delle tasse si deve votare adesso», dice Matteo Salvini. «Non esiste che ministri dicano “c’è tempo”.
Vedo che qualcuno ha tempo da perdere polemizzando su altro», aggiunge, prima di rivolgersi direttamente al presidente del Consiglio: «Sfidiamoci sulle tasse, su qualcosa che interessa gli italiani, non sulla fantasia», argomenta il capo del Carroccio.
E che a Palazzo Chigi non respiri affatto una buona aria lo si evince anche dalle parole pronunciate dal numero due della Lega, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti.
«Rompere la coalizione? Non so, si tratta di decidere se si vuole perdere tempo con le dichiarazioni e con i giornalisti o se si vuole lavorare», dice l’esponente leghista di certo non amante dei toni incendiari. «Io personalmente lavoro tanto, forse troppo. Secondo me la vicenda Siri è stata trattata molto sui giornali con molte dichiarazioni e poco confronto diretto», dice il sottosegretario, sfiorato a sua volta dalla vicenda per aver assunto a Palazzo Chigi Federico Arata, figlio di Paolo, indagato per la corruzione del sottosegretario e socio in affari di Vito Nicastri, ritenuto uno dei finanziatori della latitanza del boss Messina Denar. Giorgetti sa perfettamente di essere entrato a sua volta nel mirino dei 5 Stelle e risponde ironico a chi gli chiede se il prossimo a saltare sarà proprio lui: «Non so, può darsi. A turno toccherà a tutti. Io sono tranquillissimo e il governo ha i suoi problemi come potete vedere», dice il numero due di Salvini. «Se si è in un governo bisogna parlarsi. Io sono un sottoposto, non sono un capo, quindi parlasse il capo».
Ma il capo della Lega non intende aggiungere altre parole a quelle già dette. Chi rompe il silenzio, invece, è proprio il diretto interessato, Armando Siri, che usa ancora Facebook per smentire alcuni retroscena giornalistici: «Leggo dichiarazioni riportate a mio nome che sono da ritenersi in assoluto destituite di ogni fondamento», scrive. «Non esiste alcuna polemica con il mio partito», dice. Ma sulle dimissioni neanche una parola.