Ventisei nuovi testimoni e consulenti verranno sentiti in Procura a Roma per far luce sull’omicidio irrisolto di Simonetta Cesaroni, avvenuto il 7 agosto del 1990 in un ufficio in Via Carlo Poma 2, nel quartiere romano di Prati. La giudice per le indagini preliminari, Giulia Arcieri, nel decreto con cui si oppone alla richiesta di archiviazione proposta dalla pm Gianfederica Dito, ha disposto l’audizione di diverse figure rilevanti.

Tra i nomi indicati figurano l’attuale vice capo della Polizia di Stato ed ex questore di Roma, Carmine Belfiore, e Antonio Del Greco, all’epoca dei fatti dirigente della sezione omicidi della squadra mobile della questura di Roma. Verranno ascoltati anche i giornalisti Giuseppe Pizzo, Emilio Orlando e Igor Patruno, nonché il criminologo Carmelo Lavorino, che negli anni hanno riportato dettagli mai considerati durante i 34 anni di indagini.

Disposte inoltre le audizioni di Bianca Limongiello, portiera del palazzo adiacente a quello del delitto, della domestica del presidente dell’Aiag ed ex datore di lavoro della vittima, Francesco Caracciolo di Sarno, e di Maria Strelenciuc. Tra le altre figure chiave figurano la magistrata della Corte dei Conti Rita Loreto e il vice presidente della Camera, Sergio Costa.

Il delitto irrisolto di Via Poma

La sera del 7 agosto 1990, poche ore dopo l’omicidio, gli investigatori della Sezione Omicidi della Squadra Mobile entrarono nell’appartamento al terzo piano dello stabile di Via Carlo Poma 2. Trovarono il corpo di Simonetta Cesaroni seminudo, in una pozza di sangue parzialmente ripulita, in un evidente tentativo di occultamento. Fu Paola, la sorella della vittima, a scoprire il corpo nell’ufficio dove Simonetta lavorava da pochi giorni.

Le indagini inizialmente si concentrarono su Federico Valle, residente nello stabile, ma la sua posizione fu archiviata. Successivamente, il portiere Pietrino Vanacore venne arrestato, ma il 26 aprile 1991 tutte le accuse contro di lui e altre cinque persone furono archiviate.

Nel marzo 2010, tre giorni prima di testimoniare nel processo contro Raniero Busco, fidanzato della vittima, Vanacore si suicidò gettandosi in mare in Puglia. Raniero Busco fu condannato in primo grado, ma la Corte d’Appello lo assolse. La sentenza fu confermata dalla Cassazione nel 2014.