Non era certo un mistero che Vladimir Putin facesse il tifo per Marine Le Pen. Fino all’invasione dell’Ucraina la leader della destra identitaria francese era stata molto vicina al capo del Cremlino, esprimendo pubblica ammirazione per le sue politiche e opponendosi a tutte le sanzioni internazionali nei confronti della Russia all’europarlamento. Peraltro tra il 2018 e il 2021 circa una quindicina tra deputati europei e dell’Assemblea nazionale hanno compiuto viaggi “diplomatici” nel Donetsk pagati direttamente dalle autorità russe.

Ma non sappiamo, a cinque giorni dal secondo turno, quanto l’endorsement ufficiale di Mosca aiuti il Rassemblement National a conquistare quei voti moderati e centristi necessari per approdare al governo dopo mezzo secolo di traversata del deserto. Anche perché l’effetto boomerang sembra scontato, con gli avversari politici pronti a cogliere la palla al balzo per dimostrare che il Rn è un partito filorusso che rappresenta un pericolo per la Francia e per la stessa Unione europea. Non a caso né Le Pen, né il delfino Jordan Bardella e nessun altro dirigente nazionale ha rilasciato commenti o dichiarazioni sull’abbraccio russo. Tutti nicchiano, ma come ironizza l’europarlamentare di Renew, Nathalie Loiseau «Marin Le Pen può anche affermare di non stare dalla parte di Putin ma Putin non nasconde di stare dalla parte di Marine Le Pen».

È vero che i dossier internazionali non sono certo in cima alle preoccupazioni dei francesi e che la campagna elettorale come sempre accade si è giocata tutta sui temi di politica interna, dalle pensioni ai salari, dall’immigrazione alla sicurezza, dall’antisemitismo all’islamofobia. Le elucubrazioni geopolitiche interessano poco agli elettori e spostano relativamente poco in termini di consensi. Ma per ottenere quella fatidica maggioranza di 289 seggi che gli permetterebbe per la prima volta di guidare il Paese conterà anche il più piccolo voto considerando che molti ballottaggi si disputeranno sul filo di lana. Questa cosa dei russi che tifano apertamente per il Rassemblement National potrebbe essere un guaio.

Al Cremlino d’altra parte hanno le idee molto chiare: la priorità è indebolire il presidente Macron, uno dei leader più convinti nel sostenere la causa ucraina e forse il più determinato nello spingere in alto l’asticella del confronto con Mosca. Spezzare l’unità degli alleati occidentali, divide et impera, un obiettivo logico per la Russia. Ecco cosa ha scritto su X Andreï Nastasin, responsabile della comunicazione del ministero degli Esteri sul voto di domenica: «È cominciato il cambiamento. Il popolo francese vuole una politica estera sovrana, che serva i suoi interessi nazionali invece dei diktat di Washington e di Bruxelles». Parole che seguono quelle del presidente della Duma Viatcheslav Volodin che all’indomani delle elezioni europee ha salutato l’avanzata dell’estrema destra in Francia e Germania, irridendo sia Macron che il cancelliere Scholtz. Concetti espressi in forma ancora più articolata all’ultimo Forum economico di San Pietroburgo, la “Davos russa” che si è tenuto a inizio giugno: «I nostri amici in Europa avanzano ovunque», aveva detto con entusiasmo all’inviato di LeMonde un alto funzionario del Cremlino.

Se fino ad oggi le ingerenze russe sulla campagna elettorale sono state irrilevanti, la prospettiva che gli amici di Putin entrino a Matignon e magari al Qai d’Orsay è concreta. La tocca molto piano Raphael Gluksmann, candidato del Partito socialista: «C’è il rischio concreto che la Francia sia governata dagli alleati servili di una tirannia straniera in guerra contro le democrazie europee». Parlando con il presidente ucraino Zelensky, Macron ha tentato di rassicurarlo, spiegandogli che la Costituzione della Quinta Repubblica riserva al capo dello Stato la guida della politica estera e che fin quando all’Eliseo ci sarà lui la Francia sosterrà la lotta di Kiev contro l’invasore.