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ciro maschio
«Un coraggio rivoluzionario». Ciro Maschio, presidente della commissione Giustizia di Montecitorio ed esponente di prima linea, sul tema, per Fratelli d’Italia, ha ben impressa la forza dell’intervento pronunciato da Carlo Nordio due giorni fa alla Camera. «Ma adesso», aggiunge il deputato del partito di Giorgia Meloni, «è il Parlamento che dovrà tradurre in un percorso di riforme quei principi fissati con un discorso dal profilo così alto. Nel rispetto della separazione tra i poteri, che il ministro ha molto a cuore, come attestano i suoi scritti».
Ma un programma così ambizioso come quello illustrato da Nordio è davvero sostenibile?
Intanto con le parole del guardasigilli si compie un salto di qualità nel dibattito. La sua straordinaria cultura giuridica, unita alla sua esperienza, consentono di portare il confronto su un piano più elevato. Ora, appunto, tocca al Parlamento declinare nella forma più appropriata quei principi, secondo una gerarchia di priorità che mi pare molto chiara.
E qual è?
È evidente come si debba dare priorità a quegli interventi che incidono più direttamente sull’efficienza della macchina giudiziaria. Va fatto per mantenere gli impegni con l’Europa, attraverso una maggiore efficacia e rapidità della giustizia sia penale che civile.
E le grandi riforme anche costituzionali?
Assestato il quadro, ci sarà modo di passare alle riforme di sistema che il ministro ha illustrato con le sue linee programmatiche. È chiaro che ci vorrà un tempo maggiore. Non si può pensare che interventi di quel tipo si realizzino con la stessa immediatezza. Ma c’è un vantaggio che non va sottovalutato: per la prima volta da almeno due legislature ci si trova con una maggioranza politica ampia e omogenea, che sicuramente può compattarsi attorno al messaggio di Nordio, e che anzi può ottenere, sul punto, convergenze da settori dell’opposizione. Potranno finalmente essere messi in atto principi della nostra civiltà giuridica che negli ultimi anni sono stati spesso sacrificati.
Quindi la convergenza col Terzo polo su alcune riforme della giustizia, lei sta dicendo, non riguarda solo FI né rischia di incrinare la maggioranza.
Io credo innanzitutto che la convergenza sia nei fatti possibile, anzi certa, per l’intera maggioranza. Anche grazie all’intervento del guardasigilli, è stato allontanato l’equivoco secondo cui alcuni punti sarebbero scarsamente condivisi da parti dell’alleanza di governo. Se ben guardiamo, i principi chiave del discorso di Nordio consistono nel rafforzamento della presunzione d’innocenza e in un’attuazione dell’idea per cui la pena deve essere certa e quindi rapida, effettiva, efficace, immediata e proporzionata. Sono le due facce della stessa medaglia del garantismo. E un’impostazione del genere è condivisa, ripeto, dall’intero centrodestra. Va archiviata la stagione in cui era più facile entrare in carcere da innocenti in applicazione di misure cautelari ed era più facile uscire dal carcere da condannati, il che generava una sensazione di impunità e incertezza.
Ma lei crede sia possibile far passare l’idea, anche nell’opinione pubblica, che certezza della pena non equivale a certezza del carcere?
Da questo punto di vista va aperta una riflessione importante. A partire dalla condizione attuale del sistema penitenziario, che incide sia sugli agenti che sui detenuti. La base da cui è necessario partire è l’allarme sui suicidi lanciato sia dalla presidente Meloni che dal ministro Nordio. Si tratta di prese di posizione che segnalano la tensione verso il ripristino della civiltà giuridica e la difesa dei diritti. E allora, se si riuscirà a riorganizzare la politica carceraria, a rilanciare l’edilizia penitenziaria, ad attuare accordi con gli altri Paesi in modo che i detenuti stranieri scontino la pena in patria, e se riusciremo così a ridurre la percentuale dei reclusi nelle nostre carceri, che è ancora ben al di sopra della capienza regolamentare fissata dalle norme europee, ecco, in questo quadro più ampio, si potrà fare una riflessione anche sul fatto che la certezza della pena non comporta necessariamente il ricorso alla pena carceraria. Ma, torno a dire, sempre in un quadro in cui, per noi di Fratelli d’Italia, certezza della pena significa rapidità, efficacia, proporzionalità e immediatezza.
Equo compenso: meglio varare il prima possibile la legge così com’è stata approvata, da voi alla Camera, nella scorsa legislatura o prendersi più tempo per accogliere anche alcune richieste avanzate dal mondo forense, dal quale lei stesso proviene?
È un tema di cui si è discusso in commissione la settimana scorsa e che sarà ripreso nella prossima. Da una parte il meglio è, come si dice, nemico del bene, e potrebbe avere senso arrivare subito all’approvazione dell’equo compenso, tenuto conto che si tratta di una legge molto atteso dai professionisti. Dall’altra parte dobbiamo guardare alla realtà delle prossime settimane, in cui l’agenda parlamentare sarà fittissima. Fra decreto Rave, decreto Aiuti quater, legge di Bilancio e altre scadenze, potrebbe essere impossibile calendarizzare l’equo compenso, e inevitabile aggiornare al nuovo anno il voto sul provvedimento. A quel punto sarebbe ragionevole consentirsi una rifinitura del testo e accogliere alcuni suggerimenti preziosi venuti dall’avvocatura.
Diciamolo: negli ultimi giorni si è capito che la sua sarà una commissione tutt’altro che marginale per questa legislatura.
Ma certo. Ripeto, da una parte i punti indicati dal ministro nelle linee programmatiche sono condivisi dall’intero centrodestra: dall’uso strumentale dell’informazione di garanzia alle modalità disfunzionali con cui sono state gestite le intercettazioni, fino alla separazione delle carriere. Sono questioni segnalate dal ministro in coerenza con i principi costituzionali e sulle quali il centrodestra è unito. Ora però è il Parlamento a dover trovare il modo di attuare quei principi. E per quanto mi riguarda, lo si dovrà fare senza creare uno scontro tra i poteri dello Stato e con i protagonisti del mondo della giustizia. Si dovrà lavorare sulla base del dialogo e del confronto civile, da cui nessuna delle visioni che esistono nel dibattito sulla giustizia dovrà essere esclusa.