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Il “dovere coniugale” è un fantasma sessista, un residuo del passato e non può mai avere la dignità di un concetto giuridico per uno Stato democratico fondato sul diritto. È quanto stabilito dalla Corte europea per i diritti dell’uomo (CEDU) che in una sentenza pronunciata oggi chiede alla Francia di risarcire Madame Q. una sua cittadina di 69 anni il cui marito aveva ottenuto il divorzio con addebito perché lei si è rifiutata per anni di avere rapporti sessuali.
I fatti risalgono al 2018 quando il giudice per gli affari familiari della Corte di Versailles aveva respinto il ricorso dell’uomo che chiedeva il divorzio “per colpa”: i problemi di salute della moglie dovuti a un incidente avvenuto nel 2005 e a un’ernia ne avrebbero in tal senso giustificato la castità. Inoltre, le disposizioni del codice civile non menzionano in nessun caso l'obbligo per i coniugi di intrattenere rapporti sessuali. Come ha ricordato la Corte, l'articolo 212 era così formulato: “I coniugi si devono reciprocamente rispetto, fedeltà, aiuto, assistenza”. L’articolo 215 comma 1 precisava: “I coniugi si obbligano reciprocamente a convivere”.
Ma l’anno successivo il tribunale d’appello di Versailles aveva completamente ribaltato la decisione sostenendo al contrario che non concedersi sessualmente al proprio partner costituisce una colpa inequivocabile.
A quel punto gli avvocati della donna, sostenuti dal Collettivo femminista contro gli stupri (Cfcv) e dalla Fondazione delle donne hanno portato il caso davanti alla CEDU invocando l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti umani che tutela il rispetto della vita privata e familiare.
La Corte, che ha sede a Strasburgo, ha motivato la sentenza precisando che «ogni atto sessuale non consensuale equivale a una forma di violenza sessuale». Per i giudici europei è inaccettabile che il consenso al matrimonio implichi il consenso a futuri rapporti sessuali: «Una tale giustificazione potrebbe fornire una giustificazione all’atto riprovevole dello stupro coniugale».
Lilia Mhissen, avvocata della donna saluta pubblicamente la sentenza delle toghe europee: «È un fatto molto importante, questa decisione segnerà una svolta nella lotta per i diritti delle donne in Francia e in Europa». Anche Madame Q. ha commentato la sentenza con una dichiarazione consegnata da Mhissen al quotidiano Libération: «La decisione della Corte d’appello di Versailles che mi ha condannato sei anni fa era ed è indegna di una società civile perché mi ha negato il diritto di sottrarmi ai rapporti sessuali, privandomi della libertà di decidere di come disporre del mio corpo».
I sette giudici della Corte di Strasburgo sostengono inoltre che la riaffermazione del dovere coniugale e il fatto di aver pronunciato il divorzio per colpa sulla base del fatto che la ricorrente aveva cessato ogni rapporto intimo con il marito costituiscono ingerenze nel suo diritto al rispetto della vita privata, nella sua libertà sessuale e nella il suo diritto di disporre del proprio corpo.
Riteneva in particolare che le conclusioni della Corte d'Appello fossero particolarmente stigmatizzanti, in quanto il rifiuto del ricorrente veniva considerato una violazione “grave e rinnovata” degli obblighi matrimoniali rendendo “intollerabile il mantenimento della convivenza”.