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Nel Centro per la protezione dei bambini di Ashaiman, che i salesiani hanno aperto nel 2015 in questa vasta cittadina nel Sud del Ghana, alle porte della capitale Accra, ci sono 55 bambini fra i 7 e i 17 anni, 44 ragazzi e 7 ragazze. Sanno a malapena rispondere "Hi" in inglese, perchè parlano solo ewe, la lingua dell'etnia più diffusa nella Volta Region, la striscia di terra che si trova a Est del Lago Volta e a Ovest del Togo. A portarli nel Centro aperto dai padri della congregazione di Don Bosco nel 2015, sono state le locali squadre di soccorso composte dalla polizia ghanese, in collaborazione con assistenti sociali di Ong come la International Justice Mission o la Free the slave. Entrambe impegnate nel combattere la schiavitù minorile, un fenomeno molto diffuso in alcune zone del paese, queste associazioni hanno monitorato l'area del Lago Volta giungendo alla conclusione, pubblicata in un report del 2015, che il 60% dei circa 800 bambini osservati potrebbero essere schiavi. Le loro condizioni di sfruttamento e malnutrizione, la pericolosità delle attività cui sono costretti e i continui casi di annegamento ne sono la dimostrazione. In Ghana, come in molti paesi africani, il traffico di bambini è una realtà diffusa. Le famiglie nei villaggi più remoti e poveri, quelli colpiti da fenomeni come la desertificazione e i cambiamenti climatici, dove l'economia di sussistenza non basta più, scelgono di affidare i loro figli a persone che promettono di occuparsene. Da quel momento in poi di tanti ragazzi non si sa più niente. Alcuni, i più fortunati, finiscono nelle maglie del "child labour", il lavoro minorile. Accade così di trovare bambini di 6 o 7 anni che trasportano casse piene di farina sulla testa nei pressi di una fattoria di kassava, il locale tubero usato come base di ogni pasto o ragazzini chini sulle spiagge a svolgere chilometri di reti ingarbugliate per trarne i pesci rimasti incastrati fra le maglie o a trasportare ceste piene di crostacei dalle piroghe ai mercati. I più sfortunati invece, soprattutto ragazze, entrano in un'altra statistica, quella che conta le vittime della tratta di esseri umani. Documenti falsi alla mano, grazie all'aiuto di agenzie conniventi con gruppi criminali organizzati, partono alla volta dei Paesi del Golfo dove vengono sfruttati in lavori umili come "nuovi schiavi" o dove soffrono abusi sessuali e prostituzione coatta. L'ultimo report dell'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) sul Traffico di esseri umani, offre un quadro ben strutturato della vastità del fenomeno e di cosa si sta facendo per combatterlo. Sulla base dei dati raccolti in 155 paesi del mondo è risultato che nel 2014 circa 1.2 milioni di bambini fossero vittime di traffico di minori e che questa cifra rappresentasse solo il 20% del totale delle vittime di traffico di esseri umani. In alcune zone dell'Africa, i bambini costituiscono la maggioranza delle vittime di tratta e in particolare in certe aree dell'Africa occidentale, i minori rappresentano quasi il 100 per cento delle vittime di tratta. Il report rileva inoltre che quasi l'80 per cento del traffico di esseri umani è legato allo sfruttamento sessuale e che le vittime sono prevalentemente giovani donne e bambine. La seconda forma più comune di sfruttamento di esseri umani, pari al 19 per cento, è il lavoro forzato, ma a riguardo la ricerca conferma che può trattarsi di un dato sotto-rappresentato, perchè il lavoro forzato è spesso piu' difficile da rilevare rispetto alla tratta per lo sfruttamento sessuale. I missionari salesiani in tutto il mondo stanno lavorando per porre fine al traffico di esseri umani e agli altri abusi correlati e lo stanno facendo con una metodica che va a incidere sulle cause profonde. I missionari sono impegnati per cambiare le leggi locali e per rafforzare le protezioni legali per i giovani, in concomitanza con il lavoro della polizia locale e delle ong dedicate, il cui compito va dall'identificazione dei trafficanti, alla responsabilita' di informare ed educare le famiglie in merito a queste pratiche predatorie. "Quando arrivano al centro - ci spiega padre Peter, direttore del CPC - i ragazzi sono spaesati e non hanno nulla oltre a quello che indossano. Qui li sottoponiamo a degli accertamenti medici, sanitari, psicologici e poi gli diamo assistenza per accompagnarli nel cammino di transizione dalla condizione di sfruttamento e sottomissione fisica e psicologica in cui si trovavano, alla futura riabilitazione sociale e familiare, dove possibile". Questo perchè uno dei lavori che svolgono i salesiani dopo aver salvato i bambini dalla schiavitù è quello di cercare di riportarli nelle famiglie di origine, dove sia possibile, attraverso un periodo di formazione e accompagnamento. Le riunioni familiari sono però sotto la soglia del 50%, ci spiegano al Centro di Ashaiman, perchè spesso i bambini provengono da situazioni familiari disastrate, così per alcuni si aprono vie alternative come l'eventuale adozione o l'inserimento in altri programmi di sostegno. Questo Centro per la protezione dei bambini offre rifugio, consulenza e istruzione. Le camerate dove dormono i ragazzi sono spaziose e allegre, decorate dai dipinti di un artista locale volontario. La mensa è anche l'area comune dove mangiare e riunirsi per altre attività. La zona in erba, alle spalle della palazzina principale, è il campo da calcio dove sfogare la voglia di correre dietro una palla, quella stessa che hanno i bambini di tutto il mondo. Poi i corsi di inglese elementare e quelli accademici in base al livello di alfabetizzazione, insieme ad attività di gruppo come teatro, musica, danza, sono gli ingredienti per ridare loro fiducia e per preparali ad affrontare un futuro diverso e per quanto possibile sano e felice. Questa - assicura padre Peter che di ex schiavi bambini ne ha visti passare diversi al CPC di Aishaman - è la loro "life changing experience". di Francesca Spinola