Ne hanno parlato tutti, fini analisti giuridici e star di Hollywood. Perché la sentenza inglese sulla definizione legale di donna ha risposto a una domanda che la società si pone nel nostro tempo, e in ogni parte del mondo: come distinguiamo tra sesso e genere? E chi nasce biologicamente maschio, può accedere agli stessi diritti di una donna? I cinque giudici della Corte Suprema del Regno Unito hanno risposto in maniera tecnica, ancorando la propria decisione alla legge con una sentenza di 88 pagine. Ma inevitabilmente il risultato è politico: anche dalle parti di Londra sono le toghe ad arbitrare i dilemmi dell’etica con gli arnesi del diritto, quando il legislatore se ne lava le mani.

COSA STABILISCE LA SENTENZA

Il verdetto è stato pronunciato il 16 aprile. È arrivato facendo molto rumore, ma non era inatteso. I giornali inglesi già titolavano: What is a woman?

Cos’è una donna. «Non è compito della Corte pronunciarsi sulle argomentazioni di pubblico dominio sul significato di genere o sesso, né definire il significato della parola “donna” se non quando è utilizzata nelle disposizioni dell’Equality Act del 2010», scrivono i giudici. Che lo mettono nero su bianco: «Nulla in questa sentenza è inteso a scoraggiare la nomina di persone trans nei consigli degli enti pubblici o a minimizzare l’importanza di affrontare la loro sottorappresentazione in tali consigli. La questione qui è solo se la nomina di una donna trans che abbia un GRC (un certificato per il riconoscimento di genere, ndr) conta come la nomina di una donna e quindi sia valida per il raggiungimento dell’obiettivo fissato per la rappresentanza di genere, vale a dire che il consiglio abbia il 50% di donne tra i propri membri non esecutivi. A nostro giudizio non lo è».

Dunque, la Corte ha deciso che ai fini della normativa britannica sulle pari opportunità (l’Equality Act) l’interpretazione legale di donna debba basarsi sul sesso biologico. E questo vuol dire che alle persone transgender non possono essere estesi tutti gli spazi e tutte le tutele previste per chi è donna dalla nascita. Anche se la sentenza, sottolinea la Corte, non deve essere interpretata come un come «un trionfo di uno o più gruppi della nostra società alle spese di un altro», dal momento che la decisione «non toglie protezione alle persone trans», alle quali la stessa legge già garantisce tutele contro la discriminazione sulla base di diverse caratteristiche, compreso il sesso e la riassegnazione di genere.

LA BATTAGLIA LEGALE

La parola dei supremi giudici pone fine a una lunga controversia e segna la vittoria di For Women Scotland, il gruppo di femministe “critiche del genere” che aveva portato in tribunale il governo scozzese con l’appoggio e il sostegno economico della scrittrice di Harry Potter JK Rowling.

Il ricorso (accolto) riguardava una legge del 2018 che fissa quote rosa del 50 per cento nei consigli di amministrazione degli enti pubblici locali. Includendo nella definizione di donna anche le persone trans che abbiano ottenuto il riconoscimento di genere secondo i requisiti stabiliti dal Gender Recognition Act del 2004. Per due volte il gruppo femminista ha perso la causa: i tribunali scozzesi hanno stabilito (e poi confermato con una sentenza a favore del governo di Edimburgo) che il sesso “non è limitato al sesso biologico o alla nascita” e include coloro che sono in possesso di un certificato per il riconoscimento di genere.

La stessa domanda si è posta quindi alla Suprema Corte, la cui decisione, che ribalta le precedenti, non è più limitata al diritto scozzese, ma influenza l’interpretazione dell’intero corpo normativo sulla parità di genere approvato nell’era Gordon Brown e applicabile in tutta la Gran Bretagna. Entro l’estate, infatti, l’autorità di regolamentazione per le pari opportunità del Regno Unito emanerà nuove linee guida sugli spazi riservati in base al sesso biologico. Spazi “esclusivi” per donne, che probabilmente riguarderanno bagni, spogliatoi, reparti ospedalieri, ostelli, prigioni, rifugi per donne vittime di violenza domestica e molto altro.

LE RICADUTE SULLA COMUNITÀ TRANS

«Questa sentenza avrà enormi conseguenze», dice Kishwer Falkner, presidente della Commissione inglese per l’uguaglianza e i diritti umani. L’ente è stato inondato di domande da parte di aziende e istituzioni che si chiedono come dovranno regolarsi per l’organizzazione nelle scuole e negli edifici pubblici. Le persone trans, dice Falkner, potranno battersi per la creazione di “spazi neutri”, come i bagni e gli spogliatoi unisex, dal momento che «la legge è abbastanza chiara » sul fatto che «non dovrebbero utilizzare strutture destinate a un solo sesso».

La decisione avrà implicazioni anche nelle carceri e nell’attività di polizia. Quella dei trasporti ha già fatto sapere che adotterà una posizione provvisoria in base alla quale «qualsiasi perquisizione di persone dello stesso sesso in custodia cautelare dovrà essere effettuata in base al sesso biologico riconosciuto alla nascita del detenuto».

«Le nostre linee guida aggiornate riguarderanno i fornitori di servizi e le autorità pubbliche, nonché alcuni altri settori; quindi saranno coperti sia le scuole che i club sportivi», ha spiegato alla CNN un portavoce della Commissione britannica. La decisione della Corte Suprema avrà sicuramente ripercussioni sullo sport femminile, ma non è chiaro in che modo.

Certo le persone transgender saranno comunque protette dalla discriminazione basata sulla riassegnazione di genere, che è una caratteristica tutelata dall’Equality Act. Il quale prevede anche la discriminazione percepita, che si realizza quando qualcuno pensa che tu appartenga al sesso opposto. Ma la comunità Lgbtq+ ora teme che il verdetto porterà a una ulteriore marginalizzazione della comunità trans, già esposta a diverse forme di violenza. «Siamo stati sostanzialmente privati del diritto di esistere nella società britannica », tuona Jane Fae, una delle direttrici del gruppo di sostegno TransActual UK. «Ciò che abbiamo fatto è stato riportare il Regno Unito indietro rispetto alla situazione precedente in termini di diritti umani», ha spiegato l’attivista, per la quale 20 anni dopo la sua approvazione il Gender Recognition Act «è stato di fatto buttato fuori dalla finestra». Quella legge prevede alcuni requisiti necessari per ottenere il certificato: bisogna essere maggiorenni, avere una diagnosi di disforia di genere accertata da due diversi medici, bisogna aver vissuto nel genere acquisito per almeno due anni, e bisogna dichiarare l’intenzione di vivere in quel genere per sempre. Se si è sposati, occorre anche il consenso del coniuge. Ma non è previsto l’obbligo di una operazione chirurgica per la riassegnazione del sesso. La documentazione va sottoposta a una commissione specifica, che delibera sul riconoscimento accogliendo o rigettando la richiesta.

LO SCONTRO TRA FEMMINISMI

Se le femministe scozzesi hanno brindato con lo champagne in tribunale, fuori dall’aula la prima a festeggiare è stata JK Rowling, paladina mondiale di chi si batte contro le “teorie del genere”. Sigaro alla mano, la mamma di Harry Potter ha elogiato il gruppo per la sua tenacia nel condurre la battaglia legale culminata nella sentenza dell’Alta Corte: una decisione che «protegge i diritti di donne e ragazze in tutto il Regno Unito», dice la scrittrice.

«La nostra posizione è che il sesso, che si sia uomo o donna, è determinato dal concepimento in utero, ancor prima della nascita, dal proprio corpo », spiega Aidan ÒNeill, legale di For Women Scotland, «è un’espressione della propria realtà corporea. È uno stato biologico immutabile». Si tratta della posizione delle cosiddette femministe “Terf”, (trans-exclusionary radical feminist): una definizione che questi gruppi rifiutano, preferendo definirsi come “radicali” o “critiche del genere”.

A Londra il termine si è diffuso proprio nell’ambito del dibattito sul Gender Recognition Act, una normativa approvata in risposta alle sentenze della Cedu contro il Regno Unito, che dopo un lungo dibattito ha disciplinato la modifica del sesso sui documenti legali per chi ha una diagnosi documentata di disforia di genere. La discussione ha spaccato il mondo femminista, tra chi rivendica “spazi sicure” per le sole donne che condividono il dato biologico e chi difende i diritti della comunità Lgbtq+: il femminismo “intersezionale”, che incorpora nella propria battaglia tutte le minoranze soggette a discriminazione. Al centro dello scontro c’è il dibattito sulle logiche binarie e sul rapporto tra genere e sesso, due categorie che interrogano il movimento femminista per tutto ciò che riguarda le prerogative legate al corpo femminile, a partire dal “potere” della maternità. Il corpo che fa figli, che ha le mestruazioni, e che rischia di “imprigionare” le donne dentro un “destino biologico” da cui parte delle femministe vuole slegarsi attraverso nuove costruzioni culturali.

LO SCONTRO POLITICO

A questo punto non è difficile capire perché la politica preferisca tenersi alla larga da questioni tanto complesse. La sinistra generalmente annaspa. Mentre il mondo conservatore cavalca con facilità le posizioni espresse dalle femministe scozzesi. Anche il governo britannico, fino ad oggi in bilico nello schieramento ideologico sul tema, ha accolto con favore il verdetto della Corte. Che ora consente al primo ministro inglese di non immischiarsi in un dibattito tanto divisivo e di adeguarsi al linguaggio dei giudici. «Abbiamo sempre sostenuto la protezione degli spazi riservati a un solo sesso in base al sesso biologico - ha commentato un portavoce di Downing Street dopo la sentenza - Questa sentenza porta chiarezza e fiducia, per le donne e per gli operatori di servizi come ospedali, centri di accoglienza e club sportivi. Gli spazi riservati a un solo sesso sono tutelati dalla legge e saranno sempre tutelati da questo governo». Sotto tiro da parte dei Tory, Keir Starmer non si è ancora pronunciato ufficialmente. Un suo portavoce si è limitato a chiarire che il premier inglese non ha mai sostenuto che una “donna trans è una donna”, come aveva lasciato intendere in più occasioni.

«L’analisi dei giudici è giuridica, equilibrata e razionale. La loro decisione dimostra, tuttavia, che il Parlamento ha urgente bisogno di riesaminare l’Equality Act. Se i politici si fossero concentrati di più sulla legislazione e meno sull’ottenere capitale politico a basso costo, questo caso potrebbe non sarebbe mai stato necessario», commenta laconico sul Guardian Sam Fowles, avvocato e autore.

IL CONTESTO INTERNAZIONALE

Ma la decisione, si era detto, non resta tra i confini del Regno Unito. E sullo stesso campo la politica invece si è mossa rapida negli Stati Uniti e in Ungheria. Nel primo caso con gli ordini esecutivi firmati da Donald Trump, che ha bandito i trans dall’esercito e dalle competizioni sportive femminili, stabilendo dal primo giorno alla Casa Bianca che la nuova amministrazione riconosce soltanto due generi, quelli assegnati alla nascita. A Budapest il Parlamento ha approvato recentemente un emendamento costituzionale che stabilisce la legalità solo dei due sessi, maschile e femminile, e fornisce una base costituzionale per negare il riconoscimento delle identità transgender e intersessuali. Tale disposizione è vista come un modo per rafforzare le basi giuridiche del divieto sul Gay Pride introdotto lo scorso marzo, come era avvenuto in Russia oltre dieci anni fa.

Le manifestazioni infatti violerebbero la controversa legge voluta da Victor Orban sulla “protezione dei minori”, che proibisce la “rappresentazione o promozione” dell’omosessualità ai minori di 18 anni attraverso contenuti televisivi, cinematografici, pubblicitari e letterari. Una norma che consente alle autorità, tra le altre cose, di utilizzare strumenti di riconoscimento facciale per identificare persone che partecipano a eventi vietati, come il Budapest Pride, e prevede multe fino a 200mila fiorini ungheresi (pari a circa 500 euro) per i trasgressori.