Il comitato tecnico scientifico che affianca l’esecutivo nella gestione dell’emergenza coronavirus non voleva il lockdown. O almeno non lo aveva suggerito, consigliando, invece, una distinzione tra aree, con misure più restrittive solo per le zone rosse. È quanto si evince dalla parziale desecretazione dei verbali del Cts, pubblicati ieri sul sito della Fondazione Einaudi, che ha ingaggiato con il Governo una battaglia davanti al Consiglio di Stato per renderli pubblici. Ma si tratta solo di una parte dei documenti utilizzati dal Governo per gestire l’emergenza, quelli, di fatto, sostanzialmente già noti, in quanto riversati nelle decisioni del governo. Mentre mancano proprio le pagine più delicate, ovvero quelle relative alla mancata istituzione della zona rossa in Val Seriana - sulla quale indaga la procura di Bergamo, che ha un fascicolo aperto con l’accusa di epidemia colposa -, di cui ora la Lega chiede conto annunciando un’interrogazione. L’elemento nuovo, emerso dalle oltre 200 pagine ora online, è quello contenuto nel verbale del 7 marzo, ovvero due giorni prima del decreto con il quale Giuseppe Conte “chiuse” l’Italia. In quella data, infatti, il Cts suggerì al governo «adottare due livelli di misure di contenimento: uno nei territori in cui si è osservata maggiore diffusione del virus, l'altro sul territorio nazionale». E, dunque, non una chiusura totale, ma limitata alla Lombardia e alle province di Parma, Piacenza, Reggio Emilia, Rimini e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova, Treviso, Alessandria e Asti, con misure meno severe sul resto del territorio. Due giorni dopo, però, venne firmato il Dpcm con il quale l’Italia entrò in lockdown, prevedendo per tutto il Paese le stesse misure rigide consigliate per le zone rosse.
Il primo documento fa una distinzione tra aree, indicando Friuli Venezia Giulia, Liguria e Piemonte come «regioni in cui non si sono verificati casi con modalità di trasmissione non note». Pertanto alle stesse sono state applicate le misure tipo, previste per tutto il territorio, dove la mascherina è indicata solo in caso di sospetto di contagio. Per Emilia, Lombardia e Veneto, invece, viene evidenziata «una situazione epidemiologica complessa», rendendo necessaria, dunque, la sospensione di tutte le manifestazioni, di eventi e competizioni sportive, con scuole chiuse per tutti gli 11 Comuni inseriti nella zona rossa: si tratta di Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini e Vò.
È questo il momento in cui il Cts invita ad evitare «strette di mano e abbracci» e ad estendere le misure di contenimento previste per Lombardia, Veneto ed Emilia anche alle province di Savona e Pesaro. Ma non solo: nel documento viene evidenziata la necessità di incrementare del 50% i posti in terapia intensiva e del 100% quelli nei reparti di pneumologia e malattie infettive, da dotare di supporto ventilatorio.
Il virus si è ormai diffuso anche fuori dal perimetro delle zone rosse. Così il Cts ricorda alle regioni la possibilità di assumere autonomamente misure più restrittive, proponendo di rivedere la distinzione tra «zone rosse» e «zone gialle». In tal modo suggerisce due livelli di misure di contenimento: uno più rigido, previsto per la Lombardia e le province di Parma, Piacenza, Rimini, Reggio Emilia e Modena, Pesaro Urbino, Venezia, Padova e Treviso, Alessandria e Asti e uno leggermente più permissivo, da applicare al resto d’Italia. Insomma, il Cts suggerisce il lockdown, con divieto d’ingresso e d’uscita se non per motivi lavorativi e d’emergenza, ma solo per determinate aree. Ma il governo, come già detto, decide invece di estenderlo a tutto il Paese.
In questo verbale il Comitato è costretto a fare un’amara considerazione, sottolineando come «alcune raccomandazioni e/o norme tecniche o circolari» vengano disattese da alcuni territori. Da qui la proposta di emanare «ordinanze di Protezione civile, aventi maggiore forza normativa». In tale documento viene anche proposto un decalogo per i bambini durante il lockdown. Si parte dall'organizzazione della giornata fino ad arrivare all'insegnamento di hobby o attività motorie, con una giornata tipo che prevede «sveglia, bagno, colazione, igiene personale, attività domestiche, attività "scolastiche", contatto telefonico e/o video con amici e parenti, pranzo, attività libera, attività "scolastiche", merenda, uscita di casa (dal cortile, alla spesa), attività ludico/ricreativa, cena, igiene personale, a letto (lettura e/o favola)».
L’ultimo atto è quello con cui il Cts descrive l’avvio della Fase 2, proponendo un allentamento graduale delle restrizioni e le prime riaperture. Ma non delle scuole: «Dopo aver ponderato l’impatto che ne potrebbe derivare in termini d’incremento della diffusione epidemica - si legge nel documento -, unanimemente ritiene, pur consapevole dell’assoluta importanza di garantire il diritto all’istruzione, che nella situazione attuale prevalgano gli argomenti per suggerire il mantenimento della sospensione delle attività didattica frontale fino all’inizio del prossimo anno scolastico». Per la rimozione progressiva del lockdown il Cts suggerisce un «monitoraggio sierologico» e la «riorganizzazione del lavoro e dell’educazione scolastica con modalità smart (formazione a distanza)», con almeno due settimane di intervallo tra la rimozione di ciascuna macrorestrizione per valutare il rischio di riaccensioni epidemiche. La raccomandazione è che l’Rt sia sotto l’1, chiedendo piena consapevolzza e e partecipazione attiva della popolazione «alle misure di protezione predisposte dal governo».