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Come passare in meno di tre mesi da presidente della Repubblica in pectore a relitto politico? Chiedere a François Fillon. O meglio: chiedere al sistema mediatico- giudiziario che ha demolito il candidato gollista all’Eliseo. Fillon ha senz’altro le sue colpe per aver assunto moglie e figlie nel proprio staff ( il “Penelopegate”); inoltre il vittimismo piagnucoloso con cui si è difeso non è piaciuto agli elettori di destra ( si è paragonato a Pierre Beregovoy, ex premier socialista morto suicida nel 1993).
Ma la campagna truculenta che ha dovuto subire, l’esposizione in tutti i grandi media nazionali, le prime pagine dei quotidiani, le aperture di tutti i tg, fiumi di inchiostro e condanne preventive in un’indagine che per il momento lo vede protagonista soltanto come indagato, hanno fatto a pezzi tutte le sue ambizioni, alterando e pilotando il consenso elettorale.
Anche la tempistica del “Penelopegate” autorizza pensieri poco limpidi: come mai i giudici hanno aperto il fascicolo sulla famiglia Fillon a pochi mesi dal voto quando il primo indizio di reato risale al 1998? L’inchiesta dei magistrati del parquet nazionale finanziario data peraltro 25 gennaio, lo stesso giorno in cui il settimanale Canard Enchainés pubblica la sua inchiesta giornalistica sui 500mila euro che Penelope Fillon avrebbe ricevuto come assistente parlamentare del marito dal 1998 al 2002 e poi nel 2012.
Se un’opinionista controcorrente come Eric Zemmour dichiara ai microfoni della radio Rtl che «contro Fillon è stato ordito un colpo di mano mediatico- giudiziario», non ci sono prove che il vincitore delle prima- rie golliste sia vittima di una cospirazione e di sicuro non sarà così. L’unica certezza è che il linciaggio di giornali, radio e tv, gli ha sbarrato le porte di un ballottaggio che aveva già in tasca ( è finito a un punto e mezzo da Marine Le Pen). L’intreccio malsano tra i procedimenti giudiziari e il clamore mediatico miete vittime anche in Francia e influenza in profondità i rapporti di forza politici. E purtroppo non è la prima volta.
La vicenda Fillon che ricorda in modo inquietante quanto accadde a Dominique Strauss- Khan nel 2011 con l’affaire Sofitel. L’allora direttore del Fmi era anche il candidato socialista per la presidenza alle elezioni dell’anno successivo. Tutti i sondaggi lo davano sicuro vincitore contro Nicolas Sarkozy, Dsk avrebbe coronato nel miglioreì una carriera costellata di successi stellari. L’arresto clamoroso all’aeroporto Jfk di New York con l’accusa di violenza sessuale nei conforonti di una cameriera, Nafissatou Diallo, la carcerazione preventiva, la gogna globale, il lungo processo tagliarono le gambe a Dsk, che dal giorno all’indomani diventa un cadavere politico. Naturalmente Strauss- Kahn fu assolto con formula piena dall’accusa di violenza sessuale, ma per la furia giustizialista questo è solo un fastidioso dettaglio.