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Nel giro di una settimana, la prossima, il governo si gioca l'intero capitale di consenso accumulato grazie alla crisi e vede a repentaglio la sua credibilità complessiva. Gli scricchiolii sono più che rumorosi: in una sola giornata, ieri, sono venuti meno due dei pilastri principali che avevano guidato sin qui la strategia del governo, se non sul fronte della sanità certo su quello della compattezza del Paese. La reazione dei sindacati al colpo di mano grazie al quale, nella giornata di domenica, Confindustria è riuscita a far raddoppiare le categorie aziendali escluse dalla sospensione della attività e quella spontanea degli operai lombardi, che hanno ripreso gli scioperi, incrina la coesione sociale, senza la quale fronteggiare il virus diventerà molto più difficile. Se si dovesse arrivare davvero allo sciopero generale in piena emergenza si tratterebbe di un evento quasi senza precedenti, tanto più clamoroso perché lo sciopero verrebbe dichiarato contro un governo di centrosinistra per obiettivi sostenuti dalla destra.
Anche più grave il conflitto di competenze tra Stato e Regioni. Evitare a tutti i costi quel conflitto era stata una delle direttive alle quali il governo si era ispirato nelle settimane precedenti, consigliato in questo senso anche dal Colle. La Costituzione italiana, in materia, è un geroglifico incomprensibile. Le aree lasciate in sospeso dalla riforma costituzionale del Titolo V del 2001 sono tali e tante, i margini di incertezza e ambiguità così spessi, che la sola ipotesi di un conflitto del genere faceva drizzare da settimane i capelli sulla testa ai costituzionalisti e ancor di più agli esperti del Quirinale. Rischiata a più riprese nell'ultimo mese, sempre recuperata ed evitata idi misura, quella frattura si è pericolosamente avvicinata sul nodo della sospensione delle attività produttive.
In tutta evidenza Conte aveva deciso di annunciare sabato notte la nuova stretta del governo per impedire che i media registrassero una frattura tra il governo centrale e quelli della Lombardia e del Piemonte, che con le loro ordinanze di sabato pomeriggio avevano già deciso la chiusura totale. Solo che il decreto del governo ha maglie molto più larghe di quelli della Lombardia, ad esempio lascia aperti gli uffici pubblici e gli studi professionali. Un caos che ingenera inevitabilmente quel che oggi andrebbe invece assolutamente evitato: la confusione. Per ora Fontana, il governatore della Lombardia, evita lo scontro frontale. I giuristi che ha consultato giudicano prevalente l'ordinanza regionale, ma Fontana ha chiesto un parere del Viminale, proprio per evitare conflitti, garantisce. E' evidente però che il rapporto tra Stato e Regioni è sull'orlo di quel precipizio, proprio come quello tra governo e sindacati.
Se quella linea rossa verrà o no superata dipende essenzialmente da cosa diranno i rapporti quotidiani letti dal capo della Protezione civile Borrelli di qui a domenica prossima. Il governo ha puntato tutto, persino con punte di pensiero magico, su un calo progressivo della curva di contagio dopo 14 giorni dall'entrata in vigore delle misure restrittive, dunque da domani. In realtà, prima la spinta dei sindacati, delle Regioni e dei dati tragici di sabato scorso lo costringesse ad accelerare i tempi, Conte mirava a rinviare la decisione sulla chiusura di fabbriche e uffici a questa settimana, proprio nella speranza che l'esito positivo delle restrizioni già in vigore gli risparmiasse una scelta comunque difficilissima.
Segnali di miglioramento in realtà ci sono, ma ancora non tali da autorizzare conclusioni che sarebbero comunque affrettate. Perché si possa parlare di successo è necessario che la curva cali, sia pur progressivamente ma in modo sensibile in Lombardia e che non si accendano nuovi focolari nelle aree del Paese dove sinora il contenimento del contagio ha funzionato, nel centro- sud. Se andrà così le tensioni di questi giorni, destinate a proseguire nei prossimi, si stempereranno da sole. In caso contrario, però, il quadro somiglierà a un si salvi chi può generale. A quel punto anche molte ipotesi che oggi sembrano fantapolitiche, a partire da uno stabile tavolo maggioranza- opposizione, potrebbero diventare realistiche.