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«Non abbiate paura delle parole». Giuseppe Conte si appella al buonsenso dei senatori leghisti per poter proseguire il suo discorso a Palazzo Madama ripetutamente interrotto. È il giorno della seconda fiducia, dopo quella alla Camera, e il presidente del Consiglio aspetta pazientemente il momento della sua replica agli interventi che per tutta la mattinata e buona parte del pomeriggio si sono succeduti in Aula. Ore di urla, insulti e colpi di scena. Come quando la senatrice leghista, Lucia Borgonzoni, sottosegretaria ai Beni culturali ai tempi del Conte uno, sveste la giacca per sfoggiare una maglietta con su scritto «parliamo di Bibbiano».
È dunque inevitabile che l’inquilino di Palazzo Chigi spenda buona parte del tempo a sua disposizione per ribattere al tutte le accuse leghiste. Si concede una piccola premessa per rivendicare la nomina di Paolo Gentiloni a commissario degli Affari economici Ue. «La neo presidente Ursula von der Leyen riconosce all’Italia il portafoglio più forte che c’è», dice il premier, che proprio sul voto a Bruxelles separò il suo destino politico da quello di Matteo Salvini. «Vi invito a considerare il commissario come colui che rappresenterà l’Italia intera. Lo farà per cinque anni, sarà un importante presidio non per la maggioranza di turno», sottolinea Conte.
Che dopo la premessa parte all’attacco dell’ex ministro dell’Interno intervenuto solo pochi istanti prima.
«Molte dichiarazioni indulgono sul passato, sono rimaste ferme all’ 8 agosto, quando, con una certa arroganza, una forza politica ha ritenuto di arrivare unilateralmente a una crisi di governo, di portare il Paese alle elezioni, alla campagna elettorale da ministro dell’Interno, e ancora sempre unilateralmente e arbitrariamente di concentrare definitivamente tutti i poteri, pieni poteri», è l’atto d’accusa nei confronti di Salvini che adesso invoca le piazze contro il governo delle «poltrone». I senatori del Carroccio insorgono, si sbracciano e lanciano improperi all’indirizzo del premier. Altra pausa. Altro sguardo agli ex alleati, poi Conte prosegue. «Se questo era lo schema, il progetto, l’obiettivo, è comprensibile che chiunque l’abbia ostacolato, pur nel rispetto della Costituzione, per senso di responsabilità sia diventato nemico. Gli amici di ieri, gli interpreti del cambiamento diventano nemici».
Il segretario della Lega ascolta la replica immobile mentre i suoi compagni di partito urlano a squarciagola. Ed è proprio a lui, a Salvini, che Conte si rivolge quando afferma: «Assegnare ad altri le proprie colpe è il percorso più lineare per essere deresponsabilizzati a vita, un modo certo, non il migliore, per salvare la propria leadership». Come a dire: tutta la bagarre di questi giorni è frutto di un calcolo sbagliato dell’ex inquilino del Viminale, che adesso aizza i suoi per restare in sella al partita. «Errare è umano, ma dare agli altri le proprie colpe è il modo migliore per conservare la leadership del proprio partito», insiste il presidente del Consiglio.
Ma l’arringa non è ancora finita. Conte deve togliersi tutti i sassolini accumulati nelle scarpe in una due giorni di interventi e insulti tra Camera e Senato. E con consueta mitezza lancia l’ultimo “siluro” agli ex soci di governo. «Sento spesso richiamare il termine dignità», dice, rivolgendosi ai parlamentari del Carroccio che più volte hanno scandito in coro la parola «dignità» nel corso della giornata. «Fino a ieri ero l’alfiere degli interessi nazionali e ora scopro che non lo sono mai stato. Avrete modo di spiegare agli italiani cosa ci sia di dignitoso in tutti i volta- faccia che ci sono stati nelle ultime settimane». La reazione è da copione: nuova bagarre, mentre Salvini e Calderoli applaudono ironici.
Esaurita la fase della replica ai leghisti, Conte si dedica all’esposizione del programma. Un bignami, rispetto all’ora e mezza dedicata il giorno precedente a Montecitorio. Scuola e ricerca, riforma fiscale, lavoro. C’è ancora spazio però per una puntualizzazione sul caso Bibbiano, il protagonista indiscusso dell’opposizione saliviniana negli ultimi giorni. Sugli affidi illeciti il governo «non interviene sulle inchieste in corso ma una misura è stata adottata: è stata istituita presso il ministero della giustizia una commissione per un più efficace censimento degli affidi», spiega il capo dell’esecutivo. Infine, da segnalare, le parole di Andrea Marcucci, capogruppo Pd a Palazzo Madama e neo alleato del M5S, che nell’annunciare la fiducia dem al nuovo governo risponde ai leghisti: «Anche io non vi invidio quando parlate di onore e tradimento per come vi siete comportati di fronte al paese e avete deciso di privilegiare l’interesse di parte e lo avete fatto senza scrupoli. Le elezioni si faranno nel momento in cui la Costituzione le prevede». Con 169 sì, 133 no e 5 astenuti, il governo incassa la fiducia.