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Se avesse fatto ricorso al mercato illegale per procurarsi la marijuana a fine terapeutico, anziché l’auto coltivazione, non sarebbe stato condannato. Una vicenda giudiziaria surreale nell’epoca del proibizionismo. Lo scorso aprile, la Cassazione ha confermato la condanna a un sessantatreenne reo di aver coltivato tre piante di canapa per uso terapeutico. Nel frattempo l’uomo, che dovrebbe curarsi con la cannabis per l’inefficacia delle terapie convenzionali, è in attesa della decisione del tribunale di sorveglianza: o le misure alternative, oppure il carcere. L’avvocato difensore, Fabio Valcanover del foro di Trento, quindi si è rivolto al presidente della Repubblica Sergio Mattarella per chiederne la grazia.
L’uomo è affetto da sieropositività, soffre di diabete mellito in trattamento insulinico, di epatite cronica da Hcv evoluta in cirrosi e di instabilità vescicale e di rachide lombare. Non volendo affidarsi al mercato clandestino, rifiutando l’idea di alimentare traffici illeciti, l’uomo si vedeva costretto al- l’autoproduzione della canapa, non esistendo, al tempo dei fatti contestati, una norma che gli permettesse di ottenere cannabis terapeutica. D’altronde – come confermato dai medici - l’assunzione di marjuana gli allievava i dolori e gli permetteva di rispondere meglio alle cure attenuandone gli effetti collaterali. L’iter processuale che lo ha portato alla condanna è emblematico. L’avvocato Valcanover lo ripercorre nella richiesta di grazia giunta a Mattarella. In primo grado l’uomo veniva assolto sulla base degli esiti della consulenza medico legale di parte, redatta dal dottor Silvano Zancaner ( specialista in Medicina Legale e delle Assicurazioni e Direttore del Servizio di Medicina Legale presso l’Unità Locale Socio Sanitaria 12 Veneziana) che affer- mava la compatibilità dell’uso dei principi attivi contenuti nella cannabis coltivata ( Thc e Cbd) rispetto alle patologie sofferte. Il sessantatreenne aveva dichiarato, infatti, di aver compiuto quanto a lui contestato per esercitare il suo diritto alla salute. Il Giudice dell’Udienza Preliminare di Trento aveva quindi riconosciuto l’irrilevanza penale della condotta contestata precisando conseguentemente che le piante sono solo tre; e come si è visto gli effetti della loro assunzione avevano natura e finalità terapeutica, e non stupefacente in senso proprio».
Nonostante l’assoluzione di primo grado, la procura fece appello ritenendo non condivisibile il riconosciuto uso terapeutico della cannabis coltivata dall’uomo; per precisione, le parole utilizzate nell’atto di appello erano state: «Pare del tutto incomprensibile, quantomeno al pm appellante, l’indicazione per cui gli effetti dell’assunzione delle tre piante avevano “natura e finalità terapeutica, e non stupefacente in senso proprio”». La Corte di Appello di Trento aveva quindi riformato la sentenza di primo grado riconoscendo rilevanza penale nella condotta del sessantatreenne. L’avvocato difensore aveva fatto ricorso alla Cassazione: ma niente da fare, la sentenza ha confermato la condanna. Qual è il paradosso dell’accusa portata avanti dal pm? L’uomo non sarebbe stato perseguito se avesse reperito la marjuana dagli spacciatori, anziché tramite coltivazione diretta. Le parole del pubblico ministero erano state inequivocabili: «L’imputato poteva procurarsi l’erba sul mercato, senza necessità di produrla egli stesso». L’avvocato Valcanover ricorda che alla data di presentazione dell’appello, che comunque faceva riferimento a fatti commessi sino al 26 maggio. 2014, non vi era possibilità di procurarsi legalmente e gratuitamente i farmaci necessari considerando che le delibere della Giunta Provinciale di Trento e dell’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento sono successive alla presentazione dell’appello, e quindi non era possibile per il condannato procurarsi una legittima autorizzazione per tali farmaci. In assenza della delibera, per curarsi avrebbe dovuto rivolgersi a specialisti fuori regione e sostenere costi a lui inaccessibili per l’approvvigionamento del farmaco. Ora però si aggiunge un altro annoso problema denunciato sempre dall’avvocato difensore. Attualmente. C’è una grande difficoltà nel reperire il Bediol – il farmaco legale a base di cannabis terapeutica -, e ci si interroga sulle soluzioni prospettabili al paziente: non curarsi oppure affidarsi, al mercato illegale ( soluzione già individuata dal pm nell’atto d’appello) pur di curarsi, rischiando tuttavia di contravvenire alle prescrizioni ordinariamente imposte dal tribunale di sorveglianza al condannato in caso di regime alternativo. Un problema più volte sollevato dai radicali. Infatti l’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini aveva intrapreso lo sciopero della fame di 25 giorni anche per chiedere l’effettività dell’accesso alla cannabis terapeutica. Sciopero, come ha già annunciato, che riprenderà a metà agosto.