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Quattro condanne e due assoluzioni: è questo il verdetto emesso dalla Corte d’Assise di Palermo per l'omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. I giudici della prima sezione hanno condannato Francesco Arcuri a 24 anni, Antonino Abbate a 30 anni, Antonino Siragusa a 14 anni e Salvatore Ingrassia a 22 anni. Sono tutti accusati di essere gli assassini del noto penalista, ucciso il 23 febbraio del 2010 a colpi di bastone in testa all’uscita del suo studio. Assolti, invece, Francesco Paolo Cocco e Francesco Castronovo. L'accusa aveva chiesto l’ergastolo per tutti gli imputati. Parti civili al processo il Consiglio nazionale Forense, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Palermo, la Camera Penale, il Comune di Palermo, l’associazione Caponnetto nonché figli, moglie e madre dell’avvocato ucciso. La corte ha riconosciuto una provvisionale di 100mila euro ciascuno alla moglie e ai figli del penalista. Settantamila euro sono stati riconosciuti alla madre di Fragalà, nel frattempo deceduta, 25mila alla Camera Penale e al Consiglio dell'Ordine degli avvocati, 10mila al Consiglio Nazionale Forense. «È stato riconosciuto l’impianto accusatorio. Ha retto anche il movente che avevamo individuato: fu un omicidio punitivo, voluto dalla mafia», hanno commentato a caldo i pm Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli. «Naturalmente - aggiungono - dovremo leggere le motivazioni per valutare pienamente la decisione». La procura di Palermo non aveva creduto all’imputato-dichiarante Antonino Siragusa, che i giudici hanno rivalutato, dandogli «solo» 14 anni: «Nell’ultima fase - affermano i rappresentanti dell’accusa - Siragusa è apparso più sincero, ma era partito da posizioni molto poco convincenti». L'inchiesta sul delitto Fragalà, che era stato anche parlamentare nazionale di An, in un primo momento archiviata, venne riaperta dopo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Francesco Chiarello che ha fatto il nome di mandanti ed esecutori materiali dell'aggressione al penalista. E ha indicato agli inquirenti il movente dell'agguato, poi sfociato in omicidio. Fragalà sarebbe stato ucciso su ordine del boss di Porta Nuova Antonino Abbate perché aveva convinto alcuni clienti a collaborare con gli investigatori. La mafia aveva programmato un raid punitivo per dare una lezione a tutta la categoria, ma l’aggressione portò alla morte del legale. «Così s'insigna a fare l'avvocato», avrebbe detto Abbate. Alle dichiarazioni di Chiarello si sono aggiunte quelle di Siragusa, che ha ammesso le proprie responsabilità, ricostruendo i ruoli dei coimputati nell'aggressione. Secondo Chiarello, che racconta di aver preso parte solo alla fase preparatoria dell'omicidio, ad uccidere Fragalà sarebbero stati Arcuri, che avrebbe organizzato l'aggressione su ordine del boss di Porta Nuova Gregorio Di Giovanni (mai arrestato perché non ci sarebbero elementi sufficienti a suo carico, ma recentemente accusato anche da un altro pentito), Abbate, Siragusa e Ingrassia. Questi ultimi tre avrebbero atteso fuori dallo studio il penalista, limmobilizzandolo e pestandolo, Castronovo e Cocco, secondo l’impianto accusatorio non confermato dalla sentenza, l'avrebbero preso a bastonate spaccandogli il cranio. Il legale, da subito apparso gravissimo, è morto dopo tre giorni di coma. Siragusa, invece, era arrivato a sostenere che Cocco e Castronovo non avrebbero partecipato all'agguato e aveva discolpato pure Arcuri. «Sono delusa e amareggiata. Io mi aspettavo l’ergastolo per gli assassini di mio padre, per me era scontato, visto come sono andate le cose e in quanti erano. Sono davvero molto amareggiata. Però, evidentemente, i giudici sono stati più garantisti di quanto prevedessi...» ha commentato Marzia Fragalà, figlia della vittima. «Si capisce che i giudici hanno creduto alla versione di Siragusa, ma non capisco come hanno potuto togliere l’aggravante della crudeltà, proprio questa parte non riesco a comprenderla. Come è stato possibile dare l’attenuante ad Arcuri, questa è una forzatura. Aspettiamo le motivazioni e combatteremo ancora».Marzia Fragalà è stata l’unica rappresentante della famiglia a essere in aula, all’Ucciardone di Palermo. «È stato molto pesante, da un punto di vista emotivo - ha confessato - mi sentivo in un film». E rimarca l’importanza della conferma di una «matrice mafiosa». Ora si augura che «la città di Palermo possa attribuirgli un giusto riconoscimento, come una strada e una piazza. Mio padre non deve essere dimenticato».