Dalla triste vicenda di Cona all’istituzione dei nuovi Cie, l’immigrazione è diventata questione centrale nel quadro politico sociale italiano. Gianpiero Dalla Zuanna, senatore veneto del Partito Democratico e professore ordinario di Demografia all’Università di Padova, analizza ciò che sta avvenendo a partire dalla sua regione, tra le più investite dal fenomeno e dalle polemiche.

La vicenda della morte di Sandrine Bakayoko ha messo in evidenza le condizioni di sovraffollamento di alcuni centri, perché non si è intervenuti prima?

La situazione del Veneto è particolare. Ho girato molto in Italia e non ho trovato nulla di paragonabile con quello che è successo da noi. Da parte della regione c’è stata una chiusura assoluta e nessuna volontà di fare un lavoro di coordinamento: in particolare il presidente della regione, Luca Zaia, da una parte denuncia la situazione di Cona e Bagnoli ma contemporaneamente appoggia i comuni che non vogliono accogliere i migranti.

Di che numeri stiamo parlando, in Veneto?

Il Veneto ospita l’ 8% dei migranti e richiedenti asilo sul territorio nazionale e, come dice, non ha nessun appoggio amministrativo. Per questo non si riesce a fare ciò che, invece, si è riusciti a fare in altre regioni: sparpagliare i migranti su tutto il territorio. Il risultato è che in Veneto ci si trova con quattro o cinque “punti neri” di grandi concentrazioni, tra cui Cona e Bagnoli che si trovano a meno di dieci chilometri di distanza anche se in due provincie diverse, uno con 1200 migranti e l’altro con circa 900. Più della metà dei comuni del Veneto non accolgono migranti. Il paradosso è che un fatto come quello accaduto a Cona fa acquisire consenso alla Lega.

È ancora valido il sistema di affidamento alle cooperative dei centri per la gestione dei migranti, dopo Cona?

Se non sbaglio la cooperativa Ecofficine è stata espulsa dalla Confcooperative. In qualche modo, però, in passato ha risolto dei problemi, ad esempio nel caso di Bagnoli, dove Ecofficine è stata l’unica a partecipare al bando e ha ribassato il prezzo, offrendo di gestire i migranti con 30 euro al giorno a testa, invece di 35 come era possibile. Insomma, ha riempito il buco causato dalla mancanza di coordinamento regionale e dalla non volontà dei comuni di accogliere anche solo poche decine di persone. Per queste ragioni non me la sento di gettare troppo la croce addosso ad Ecofficine: sicu- ramente la cooperativa sta guadagnando soldi, ma per evitarlo bisognerebbe intervenire a monte.

In che modo?

Innanzitutto evitando la costituzione di megacentri di accoglienza: bisogna diminuire i tempi e rendere effettive le espulsioni. È difficile, certo, ma non credo esistano altri modi.

Secondo lei siamo davanti ad un’emergenza?

Bisogna capire cosa si intende per emergenza. Per certi versi lo è: come si può definire altrimenti il fatto che 1000 persone sbarcano dai gommoni in una notte? Se invece per emergenza si intende un evento inaspettato, allora la risposta è no: dopo l’accordo con la Turchia era chiaro che le rotte della migrazione si sarebbero spostate. Purtroppo per affrontare questa situazione bisognerebbe oliare bene tutto il meccanismo statale e, per farlo, sarebbe necessario impegnare tutte le strutture a disposizone, eventualmente anche intervenendo con cambiamenti di tipo legislativo.

Vista la poca disponibilità, si potrebbe imporre ai singoli comuni di ospitare i migranti?

In Germania è stato fatto e anche noi avremmo la possibilità di farlo. Il problema è che con i sindaci si sta usando più la carota che il bastone: fuor di metafora, si cerca di arrivare ad accordi il più possibile condivisi con i comuni, anche se ad un certo punto si dovranno usare meccanismi più decisi.

Citava la Germania, lì come hanno gestito l’emergenza?

In Germania non è stato chiesto il parere dei comuni e non è stato usato un metodo proporzionale in base al numero della popolazione, il governo ha solo valutato quale era il posto migliore dove collocare i migranti.

Non crede che l’istituzione di nuovi Cie faccia tornare indietro la situazione di qualche anno?

I Cie sono nati con la legge Turco-Napolitano e dovevano ospitare le persone in attesa di essere espulse: all’inizio il tempo di attesa doveva essere di due settimane, ma poi si è arrivati anche fino a due anni. I Cie sono diventati una specie di carcere, senza però le garanzie delle prigioni normali e questa deriva deve essere esclusa: non possiamo costruire dei lager.

Invece che cosa bisognerebbe costruire?

Il governo dovrebbe costruire dei luoghi di passaggio, prima di riaccompagnare i migranti nei loro Paesi, tenendo presente che non si tratta di criminali. Insomma, bisogna creare delle strutture dove le persone possano soggiornare degnamente qualche settimana, prima di tornare al loro paese d’origine, previo un accordo con questi stessi paesi. Fermo restando, però, che il problema non si risolve solo con le espulsioni.

E cosa si dovrebbe fare?

Da demografo, rilevo che la popolazione giovanile italiana sta drasticamente diminuendo. Dovremmo sforzarci di pensare a queste persone che arrivano in Italia come a un’opportunità e non solo un problema.

Però i dinieghi alle domande di asilo sono in forte crescita, più del 60%...

Dovremmo cominciare a ragionare non solo in termini di asilo. Bisogna capire se le persone che arrivano hanno le caratteristiche per intraprendere un percorso di immigrati economici e questo in realtà non è stato mai fatto. Abbiamo sempre lavorato con le sanatorie ma, non avessimo usato un criterio di accoglienza ex post, in questo momento in Italia non avremmo neppure una badante. Lasciamo lavorare un meccansimo di mercato: se l’immigrato trova la possibilità di lavorare in Italia, perchè dovremmo bloccarla?

«HO GIRATO MOLTO IN ITALIA E NON HO TROVATO NULLA DI PARAGONABILE CON QUELLO CHE È SUCCESSO DA NOI IN VENETO.

DA PARTE DELLA REGIONE C’È STATA UNA CHIUSURA ASSOLUTA»