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Dopo neanche 24 ore dall’annuncio, da parte del presidente colombiano Ivan Duque, che a causa dell’epidemia di coronavirus anche il paese latinoamericano entrerà in regime di quarantena, domenica in numerose carceri sono scoppiate rivolte. La più cruenta è quella che è andata in scena nella prigione di La Modelo, vicino Bogotà (qui sono “ospitati” 5mila detenuti) dove 23 persone hanno perso la vita. Altri 83 hanno riportato ferite di varia natura che li hanno costretti a ricorrere alle cure degli ospedali. Tra questi 7 funzionari dell’Istituto Nazionale penitenziario e carcerario (Inpec). Le misure restrittive contro il contagio inizieranno oggi e dovrebbero durare almeno 19 giorni. Verranno limitati gli spostamenti delle persone ad eccezione del personale medico, delle forze di sicurezza e dei lavoratori di farmacie e supermercati. Fino ad ora in Colombia si sono registrati 231 casi di contagio e la morte di 2 persone. Chi ha più di 70 anni sarà in qualche modo costretto a rimanere in casa fino alla fine di maggio. Ma la rivolta non è stata provocata solo dalla paura del contagio, le prigioni colombiane soffrono di gravi problemi di sovraffollamento e condizioni sanitarie insalubri. I 132 penitenziari del paese hanno una capacità di 81.000 detenuti ma ospitano oltre 121.000 prigionieri, secondo i dati del ministero della Giustizia. Ma proprio la titolare di questo dicastero ha negato criticità di questo tipo. Per la ministra Margherita Cabello infatti «non esiste alcun problema sanitario che avrebbe causato questi disordini. Non vi è alcuna infezione né alcun prigioniero o personale amministrativo o amministrativo che abbia il coronavirus». Tutto quello che è successo dunque sarebbe il frutto di un piano di evasione di massa organizzato da condannati per omicidio ed altri gravi reati. Al di fuori di La Modelo si sono radunati numerosi parenti dei detenuti accorsi per avere notizie, diversi testimoni hanno riferito di aver udito numerosi colpi di arma da fuoco mentre i prigionieri bruciavano materassi ed altre suppellettili. Ora il ministero ha avviato un’indagine dalla quale sarà comunque difficile capire cosa è realmente accaduto. Intanto però la protesta carceraria si sta allargando a macchia d’olio, sono almeno altri 13 istituti di pena nei quali sono stati segnalati disordini. In particolare la situazione appare molto tesa a La Picota a Bogotà, Pedregal a Medellin e nell’Establecimiento Penitenciario e Carcelario di Jamundì nel dipartimento della Valle del Cauca. Una crisi che ha provocato la reazione di tutti coloro che operano nell’ambito giudiziario. Sia gli avvocati difensori che i procuratori hanno infatti chiesto che venga decretato lo stato di emergenza carceraria. In realtà il presidente Duque ha già ordinato provvedimenti stringenti già dal 12 marzo sospendendo tutte le visite in carcere, le prigioni sono di fatto isolate dal resto del Paese. E’ stata messa in campo una ricerca dei presunti contagiati, i detenuti non possono uscire neanche per visite mediche se non in casi eccezionali e le udienze si tengono in videoconferenza. Unica deroga è quella concessa agli avvocati che potranno continuare a visitare i loro assistiti.