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L’Accordo, sancito il 24 novembre del 2016, si apre con l’obiettivo di porre fine «in modo stabile e duraturo» al conflitto armato in Colombia e in esso si stabiliscono punto per punto le attività che il Governo e la guerriglia si impegnano a rispettare. Con il decreto legislativo 4 aprile 2017, n. 1, è stata inserita una disposizione transitoria nella Costituzione, volta a istituire il Sistema integrale di verità, giustizia riparazione e non ripetizione (SIVJRNR), competente per i soli crimini commessi fino al 2016 in relazione al conflitto.
Uno dei tre Organi del SIVJRNR è la Giurisdizione speciale per la pace (JEP) che si compone di tre Sale, di un tribunale e dell’Unità di investigazione e accusa. Le tre Sale della JEP sono la Camera di riconoscimento della verità, della responsabilità e dell’ammissione dei fatti e delle condotte, la Camera dell’amnistia o dell’indulto e la Camera di definizione della situazione giuridica (per le violazioni meno gravi).
La JEP può irrogare tre tipi di sanzioni: proprie, alternative e ordinarie. Le prime vengono inflitte a coloro che dichiarano la verità e ammettono le proprie responsabilità davanti alla Sala di riconoscimento della verità e hanno una natura riparatoria e risarcitoria. Hanno una durata che va dai cinque agli otto anni o dai due ai cinque per chi ha avuto una partecipazione indiretta nel reato e vengono scontate in regime di non reclusione in carcere. Le sanzioni alternative sono previste per coloro i quali dichiarano la verità prima che venga pronunciata la sentenza e vengono eseguite in regime di privazione della libertà per una durata che va dai cinque agli otto anni. Infine, vi sono le sanzioni ordinarie, previste per coloro che non hanno affermato la verità né hanno ammesso le proprie responsabilità e sono stati ritenuti colpevoli dalla Sala di assenza di riconoscimento. In questo caso la pena prevista ha una durata che può arrivare fino a vent’anni di reclusione.
Dal momento della sua istituzione, la JEP ha aperto casi relativi a delle macroaree relative alle più gravi e rappresentative violazioni dei diritti umani e il 18 febbraio 2021, aveva dichiarato che le vittime del «caso 3» - che riguarda la pratica dei falsi positivi- sono almeno 6.402 solo negli anni tra il 2002 e il 2008, ovvero il periodo della prima presidenza di Uribe.
Per lo stesso reato, il 30 agosto 2023 la Sala di riconoscimento della verità ha incriminato il generale in pensione Mario Montoya e altri otto militari per l’uccisione di 130 falsi positivi nel Dipartimento di Antioquia.
Nel comunicato n. 102 si legge che l’aver presentato dei civili come morti in combattimento (falsi positivi) è frutto di una pressione da parte
del generale Montoya volta ad ottenere migliori risultati all’interno della politica di sicurezza negli anni 2002- 2003 nella zona orientale del Dipartimento di Antioquia. In particolare, la JEP ha documentato che le unità tattiche appartenenti alla IV Brigata, guidata da Montoya, hanno assassinato e fatto sparire persone in 16 municipi di tale Dipartimento. Il fenomeno criminale è scaturito dall’imposizione di considerare i numeri dei soggetti morti in combattimento come unico indicatore del successo delle operazioni militari.
Anche in considerazione del suo alto grado di comando, la JEP ha ritenuto Montoya responsabile non solamente di aver fatto pressioni sui propri sottoposti per produrre risultati, ma anche di aver coperto e insabbiato i loro crimini nonché di aver egli stesso commesso gravi crimini.
La JEP ha dichiarato la responsabilità dell’ex generale Montoya e degli altri otto imputati, per la violazione di norme penali interne e per la violazione di norme diritto internazionale. In particolare, per crimini contro l’umanità, per la sparizione forzata e l’omicidio di persona protetta commessi in modo strutturato e sistematico all’interno di un vero e proprio attacco contro la popolazione civile.
Dalla pronuncia del 30 agosto i nove imputati hanno 30 giorni di tempo per ammettere i fatti e le proprie responsabilità o contestare la pronuncia. Possono anche fare osservazioni e produrre prove aggiuntive. Le vittime accreditate e il pubblico Ministero beneficiano del medesimo termine per presentare le proprie osservazioni sulla pronuncia della JEP. Decorso tale termine, la JEP deciderà se fissare un’udienza pubblica, alla quale possono partecipare le vittime. Se gli imputati negano la propria responsabilità, il caso verrà rimesso all’Unità di investigazione e accusa (UIA) della stessa JEP.
Nel caso in cui gli imputati riconoscano la propria responsabilità, dopo una udienza pubblica di ammissione, il caso verrà trasferito al Tribunale per la pace che dovrà irrogare una sanzione, concordata con le vittime, di natura principalmente riparativa ma che può anche prevedere restrizioni della libertà personale e di altri diritti. Gli imputati che negano le proprie responsabilità ma che vengono condannati nel successivo giudizio, rischiano una pena detentiva fino a vent’anni.