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FILE -Israeli Prime Minister Benjamin Netanyahu, left and Defense Minister Yoav Gallant attend a press conference in the Kirya military base in Tel Aviv, Israel, Oct. 28, 2023. (Abir Sultan/Pool Photo via AP, File)
Uno dei poteri più grandi della Corte penale internazionale dell’Aja sta nel mettere d’accordo nazioni spesso lontane se non contrapposte tra loro riguardo la sua nocività o inutilità. Nazioni che non ne hanno mai riconosciuto la legittimità, un po’ per convinzione ma soprattutto per interessi personali.
Prendiamo le reazioni al mandato di cattura per crimini di guerra spiccato giovedì scorso nei confronti del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e del suo ex ministro della Difesa Yoav Gallant, i primi mai spiccati nei confronti di leader occidentali o alleati con l’Occidente. Scontatissime quelle del governo di Tel Aviv, che grida all’antisemitismo e al pregiudizio anti-ebraico del procuratore Karim Kahn.
Un po’ meno scontate ma di grande rilevanza quelle di giganti del peso di Stati Uniti, Russia e Cina che, ognuno a suo modo, hanno sparato a zero sulla Cpi. Il più duro, come era prevedibile, è stato il presidente uscente Joe Biden: «L’emissione di mandati di arresto da parte della Cpi contro i leader israeliani è scandalosa. Voglio essere chiaro ancora una volta: qualunque cosa la Cpi possa insinuare, non c’è equivalenza, nessuna, tra Israele e Hamas. Saremo sempre al fianco di Israele contro le minacce alla sua sicurezza», tuona l’inquilino della Casa Bianca riferendosi al mandato di arresto “cumulativo” che, oltre a Netanyahu e Gallant, chiama in causa Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri, leader di Hamas nella Striscia di Gaza, probabilmente morto da settimane il che aggiunge un tocco tragicomico alla vicenda. Anche il presidente eletto Donald Trump spara a zero sula Cpi evocando addirittura delle sanzioni contro il procuratore Kahn.
Significativa in questo contesto la lettura della Cina che invita la Corte dell’Aja a non assumere posizioni «politicizzate», e ad operare «in modo più oggettivo» come ha spiegato il portavoce del ministero degli Esteri, Lin Jian. Va da sé che il regime cinese, dalla repressione della minoranza musulmana degli Uiguri nella Xingjiang al pugno di ferro utilizzato contro i dissidenti, riempie diversi parametri per finire nel mirino della Cpi ed è per questo che non ne ha mai riconosciuto la giurisdizione.
Ancora più significativo nella sua sprezzante laconicità il commento della Russia tramite il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov che risponde così a un giornalista della Tass: «Non vediamo il motivo di commentare in alcun modo questo argomento, perché per noi queste decisioni sono insignificanti». Nel marzo 2023, la Corte aveva emesso mandati di arresto nei confronti del presidente russo Vladimir Putin e del commissario capo di Stato per i diritti dei bambini (difensore civico dei bambini) Maria Lvova-Belova su richiesta del procuratore della CPI Karim Khan, con l’accusa di aver deportato con la forza bambini ucraini in Russia dalle regioni di prima linea del Donbass. Anche il presidente ungherese Victor Orban ha criticato a fondo i mandati di cattura per Netanyahu e Gallant nonostante Budapest riconosca ufficialmente la giurisdizione della Cpi: «Non abbiamo altra scelta che sfidare questa decisione. Inviterò Netanyahu a venire in Ungheria, dove posso garantirgli che la sentenza della Corte penale internazionale non avrà alcun effetto».
C’è poi la posizione dell’Iran. Naturalmente il regime sciita non ha mai ratificato lo statuto di Roma ma il piacere di vedere finire nei guai l’odiato Bibi e il suo governo è talmente forte che, almeno per un giorno, anche gli orgogliosi ayatollah si posizionano dietro la toga del procuratore Kahn per irridere il nemico: «Questo mandato d’arresto significa la fine e la morte politica del regime sionista, un regime che oggi vive in un assoluto isolamento politico nel mondo e i suoi funzionari non possono più viaggiare in altri Paesi» ha esultato Il capo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane, il generale Hossein Salami in discorso alla tv di Stato.