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Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Tre settimane lunghissime, in una cella di isolamento, senza conoscere con esattezza le accuse che le venivano contestate. Cecilia Sala, rientrata ieri in Italia, racconta i suoi giorni di prigionia nel carcere di Evin in una puntata speciale del suo podcast, Stories di Chora Media, dal titolo “I miei giorni a Evin, tra interrogatori e isolamento”, intervistata da Mario Calabresi.
Una storia che inizia con la voglia di tornare in un Paese che le era mancato, che in qualche modo aveva fatto cadere "lo scudo" con il quale ci si protegge "dalla sofferenza delle persone che incontri". Con la voce rotta dall'emozione ha raccontato nel podcast che cura per Chora Media, senza quegli occhiali da vista che le servono "perché non vedo", con la luce sempre accesa e sola in cella fino agli ultimi giorni prima della liberazione, quando è arrivata un'altra donna, Farzané. Un tempo lunghissimo durante il quale ha trovato anche il modo di sorridere guardando "il cielo" dal cortile del carcere.
"Non mi è stato spiegato perché io sono finita in una cella di isolamento nel carcere di Evin", né, quando ha chiesto di cosa fosse accusata, quelle accuse sono state circostanziate: "Mi hanno risposto: di tante azioni illecite e in tanti luoghi diversi". "Avevo letto la notizia poco prima del fatto che c'era stato un arresto in Italia e ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l'intenzione di usarmi. L'ho pensato dal principio, ho preso in considerazione anche altre ipotesi però avevo chiara questa ipotesi e pensavo che fosse uno scambio molto difficile", sottolinea.
La mattina dell'arresto Cecilia Sala stava lavorando a una puntata del suo podcast, qualcuno ha bussato alla porta e non erano, come aveva creduto in un primo momento, "i signori delle pulizie". "Erano insistenti, ho aperto" ed è stata portata via. "Ho capito dalle prime domande che non sarebbe stato breve", così come ha capito di essere a Evin "dal percorso in auto" e dal fatto che era "un carcere grande". Sala aveva letto dell'arresto di Mohammad Abedini Najafabadi, in carcere a Opera, arrestato a Malpensa su mandato di cattura statunitense. "Ho pensato tra le ipotesi che potesse essere quello il motivo, che potesse esserci l'intenzione di usarmi - sottolinea la giornalista - L'ho pensato dal principio, ho preso in considerazione anche altre ipotesi però avevo chiara questa ipotesi e pensavo che fosse un uno scambio molto difficile".
La sua incolumità "non è stata minacciata fisicamente in alcun modo, ma nella mia mente sì, ho avuto paura per la mia vita”. Tutto quello che ha vissuto però non cambia un dato: "Io continuo ad amare l'Iran". "Ho pensato durante il viaggio in macchina" verso l'aeroporto prima di decollare per l'Italia, "'Guarda questo posto a cui tieni, che ti interessa, pieno di persone a cui vuoi bene perché se davvero sei libera forse è l'ultima volta che lo vedrai'". La Procura di Roma è in attesa dell'informativa del Ros, redatta dopo l'audizione di Cecilia Sala, avvenuta all'aeroporto di Ciampino subito dopo l'atterraggio del volo di Stato, che ha riportato in Italia la giornalista.
(Laura Pirone Milano – LaPresse)