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È attesa per domani, lunedì 3 maggio, la sentenza della Cassazione sulla morte di Marco Vannini. Questa è la seconda volta che gli ermellini si pronunceranno sul caso, ormai noto alla cronache: il 17 maggio 2015, Antonio Ciontoli ha una pistola tra le mani. Scherza. Di fronte a lui il fidanzato di sua figlia Martina, Marco Vannini, 20 anni, quel giorno ospite a casa dei Ciontoli a Ladispoli. Antonio si rigira la pistola, dicono le ricostruzioni, non si accorge che è carica e parte un colpo. Sarà mortale per Marco, colpito al braccio e trapassato nel cuore. Da allora cinque processi: il primo grado termina con una condanna per il padre di famiglia a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale, e a tre anni, per omicidio colposo, per la moglie Maria e i figli Martina e Federico. Assolta la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. Poi il giudizio di appello che, riqualificando il reato in omicidio colposo con l'aggravante della colpa cosciente, condannava a 5 anni di reclusione Antonio Ciontoli, e confermava i 3 anni ai familiari. A febbraio dell'anno scorso nuovo colpo di scena con la Cassazione che annulla la sentenza e decide che l'appello deve rifarsi per tutti gli imputati. Il 30 settembre 2020 l'Appello bis condanna nuovamente Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale e aggrava per la prima volta anche la posizione dei familiari condannandoli a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. I legali di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari - gli avvocati Andrea Miroli, Pietro Messina, Domenico Ciruzzi e anche Gian Domenico Caiazza, presidente dell'Ucpi - hanno depositato lunghi ricorsi i cui evidenziano diversi motivi contro la precedenza sentenza di appello. Con il primo motivo chiedono l'annullamento con rinvio della sentenza emessa dai giudici di appello per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione: in pratica, secondo i legali, nel giudizio di rinvio i giudici hanno errato nel non formulare una interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 40, comma 2, del codice penale ("Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo"). Ricordiamo infatti che secondo la sentenza impugnata i Ciontoli avrebbero avuto un obbligo di protezione nei confronti di Marco Vannini e quindi avrebbero dovuto attivarsi tempestivamente al fine di impedire il verificarsi dell'evento morte. La difesa degli imputati invece sostiene, proprio alla luce di una interpretazione costituzionalmente orientata dell'articolo 40, comma 2 del codice penale, che questo formale obbligo di protezione rispetto alla integrità fisica della vittima non fosse in alcun modo rinvenibile nella presente vicenda giudiziaria. In subordine, sempre con il primo motivo di impugnazione, la difesa degli imputati aveva chiesto alla Corte di Cassazione di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 40 comma 2 del codice penale, in relazione agli articoli 589 e 575, per come interpretato ed applicato dalla Corte di Assise di Appello di Roma, perché in contrasto con gli articoli 13, 25, 27 della Costituzione o, in ulteriore subordine, di rimettere il ricorso alle Sezioni Unite per dirimere il contrasto giurisprudenziale in ordine alla configurabilità nel caso di specie di un obbligo di garanzia in capo agli imputati. Con il secondo e terzo motivo di impugnazione la difesa di Antonio Ciontoli aveva chiesto l'annullamento della sentenza in merito alla configurabilità del dolo eventuale (secondo la tesi difensiva infatti dal processo è emerso che Antonio Ciontoli non si è mai rappresentato la morte di Marco Vannini quale conseguenza della sua condotta omissiva, né risulta che lo stesso abbia mai voluto cagionare, con dolo eventuale, la morte del ragazzo, ciò anche alla luce della sussistenza di circostanze che depongono verso una non adesione da parte sua all'evento morte); mentre la difesa di Maria Pezzillo, Federico e Martina Ciontoli chiedeva l'annullamento della sentenza con riferimento alla asserita sussistenza in capo ai tre imputati di un concorso anomalo in omicidio volontario, posto che gli stessi dovrebbero semmai rispondere a titolo di favoreggiamento personale non punibile sicché, a tutto voler concedere, con riferimento alla morte di Marco Vannini la loro condotta sarebbe punibile solo a titolo di colpa ex art. 586 c.p. ("Morte o lesioni come conseguenza di altro delitto"). In pratica gli scenari che si aprono domani sono molteplici. La Cassazione conferma l'appello bis e quindi per tutta la famiglia si apriranno le porte del carcere; annulla per tutti gli imputati la sentenza di appello; conferma la sentenza di appello solo per Antonio Ciontoli (che quindi va in carcere) e rinvia di nuovo in appello per rideterminare la pena per i familiari; accoglie i ricorsi della difesa sollevando il dubbio di legittimità costituzionale o inviando tutto alle Sezioni Unite. In questo ultimo caso nessuno andrà in carcere. Qualche giorno fa Antonio Ciontoli dal suo profilo Facebook aveva condiviso una lettera aperta: «L’inferno me lo porto dentro. Sì, sento di non essere più all’ altezza di continuare ad esistere. Chiedo perdono, perché il barlume di umanità che ho, mi ricorda che la vita è un dono di Dio, ma io sono stato causa di una giovane vita spezzata e riuscire ad attraversare, a capire me stesso e a far entrare altri in ciò che intimamente sento è diventato per me un ostacolo insormontabile. [...]Ho trovato il coraggio di scrivere pubblicamente perché dopo sei anni di terapie di psicanalisi e cure psichiatriche, nonostante le tante parole amorevoli da parte delle poche persone che ancora mi sono vicino, non riesco a trovare più risposte, risposte che forse non ci sono e mai ci saranno. [...]Sono qui a chiedere di pregare per loro. Per Marina, Valerio, Martina e Federico, Mary, Viola e tutte le persone che soffrono per questo immane dolore, e ancora una volta chiedere LORO scusa e perdono». Qualche mese fa era stato suo figlio, Federico Ciontoli, a rilasciar a noi la sua prima intervista: «Tutti dovrebbero desiderare la verità e la verità è che io sono innocente. [...]La gogna mediatica ha alimentato l’odio verso di noi con opinioni e ricostruzioni che contraddicono i fatti, e qualsiasi informazione alternativa, anche se vera, viene silenziata».