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La Corte di Strasburgo ha rigettato la richiesta del governo italiano di pronunciarsi di nuovo sul caso di Amanda Knox, dopo la condanna inflitta lo scorso gennaio per aver violato il diritto alla difesa dell'imputata, definitivamente assolta perl’omicidio della sua coinquilina Meredith Kercher a Perugia.
La Corte aveva condannato l’Italia a versare 18.400 euro alla giovane, per aver leso il suo diritto alla difesa nel corso dell’interrogatorio del 6 novembre 2007. Pur non riconoscendo, in assenza di prove, i maltrattamenti denunciati dalla giovane, i giudici avevano ravvisato una violazione dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, a causa della mancanza di assistenza legale e di un traduttore durante alcune fasi del procedimento.
Durante quell’interrogatorio non era infatti presente un avvocato, circostanza sulla quale le autorità italiane, afferma la Corte, non sono state in grado di fornire spiegazioni adeguate. Ma per i giudici, la violazione, seppur grave, non avrebbe compromesso l’equità complessiva del procedimento. L’altra infrazione riguarda l’assenza di un traduttore nel corso del processo, un diritto fondamentale stando alla Convenzione, in assenza del quale sarebbe stato impossibile, per la Knox, capire e comprendere le accuse che le venivano rivolte.
La giovane aveva chiesto 500mila euro di danni morali e oltre due milioni per le spese sostenute durante il processo, denunciando di essere stata colpita alla testa durante un interrogatorio e di aver subito pressioni psicologiche per estorcerle dettagli sull’omicidio o una confessione, senza tener conto, come evidenziato anche dalla sentenza, dello stato di profondo choc emotivo e di confusione in cui si trovava la donna.
Per tale motivo, la Corte ha condannato l’Italia per violazione dell’articolo 3 sotto il profilo procedurale, in quanto il governo non avrebbe indagato su possibili trattamenti disumani o degradanti o atti di tortura commessi a danno della giovane, ma non sotto il profilo sostanziale, in quanto sono risultate insufficienti le prove a sostegno della violazione.
«Sono stata interrogata per 53 ore in 5 giorni, senza un avvocato, in un linguaggio che capivo forse come un bambino di 10 anni. Quando ho detto alla polizia che non sapevo chi avesse ucciso Meredith, sono stata schiaffeggiata sulla nuca - aveva spiegato Amanda - Hanno contaminato le loro stesse indagini producendo falsi comunicati a porte chiuse. E poi hanno incolpato noi».