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Il Documento di economia e finanza approvato dal governo gialloverde fotografa con chiarezza il dato più preoccupante: la crescita allo 0,2%. Un numero, dal quale discendono una serie di conseguenze di natura economica, prima ancora che politica. L’economista Carlo Cottarelli - una carriera al Fondo Monetario Internazionale e direttore dell'Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell'Università Cattolica di Milano - commenta, con la consueta asciuttezza, quali potrebbero essere.
Professore, il Def cristallizza un dato che spaventa. Il documento la convince?
L’elemento più positivo è che il governo è stato abbastanza realista nel fare le previsioni di crescita di quest’anno. Si sono resi conto che le previsioni di crescita fatte tre mesi fa all’ 1% e addirittura dell’ 1,5% a ottobre erano di gran lunga troppo ottimistiche. Questo è un passaggio importante, perché il Def deve avere come punto di partenza quello di basarsi su stime realistiche, non su numeri campati in aria.
Punti critici, invece?
Guardi, il punto davvero critico è ciò che succederà ai conti pubblici l’anno prossimo. Quest’anno si certifica la crescita in calo e il deficit che sale al 2,4%, dovuto fondamentalmente proprio alla minor crescita. Nel 2019 ci saranno da finanziare nuovi aumenti di spesa, perché andranno a regime sia Quota 100 che il reddito di cittadinanza, più un’altra serie di spese.
Quali sono le conseguenze che la preoccupano?
Con queste maggiori spese previste, l’ipotesi più plausibile è quella di aumentare l’Iva. Se non lo si farà, il deficit salirà tra il 3,3 e il 3,5% e sarebbe una variazione piuttosto difficile da digerire, sia per i mercati finanziari che per l’Unione europea.
Il Def contiene anche la flat tax, anche se non ne scrive i numeri. E’ una misura utile?
I numeri non ci sono, ma c’è scritta l’intenzione del governo di realizzarla. Quello che le posso dire è che si tratta di ulteriori finanziamenti. Il prossimo anno, come le dicevo, ci sarà un aumento di spesa e il governo vuole anche tagliare le tasse. Il risultato è che le uniche possibilità per far quadrare i conti sono prendere a prestito più soldi, oppure trovare il modo di fare altri tagli.
Il premier Conte ha parlato di spending review.
Va bene, ma è impossibile trovare 30 miliardi in un anno, perché è di questa cifra che stiamo parlando. Le spending review sono complesse, non si improvvisano e noi siamo già ad aprile: è già stata predisposta, si è cominciato il lavoro? La legge di Bilancio si presenta a metà ottobre, quindi mancano sei mesi. Non mi sembra una strada facile.
A proposito di Unione Europea, secondo lei apprezzerà il Def?
Prima di dare un giudizio sul Def di per sé, a inizio giugno l’Unione Europea darà un giudizio sul rispetto delle regole del consuntivo del 2018. Lì potrebbe sorgere qualche problema, ma bisogna considerare che la Commissione europea attuale è in uscita.
Questo potrebbe mitigare le reazioni?
Quello che mi sembra più probabile, almeno nell’immediato, è che la Commissione europea non prenderà decisioni estreme, come per esempio la procedura di deficit eccessivo. Si aspetterà dopo l’estate.
Come si inserisce in questo quadro la crescita del debito pubblico fino al 132%?
Il debito pubblico è aumentato lo scorso anno e quest’anno aumenterà ancora. Se aumenterà anche l’anno prossimo, basterà poco perché i mercati comincino ad innervosirsi. Se poi, per una qualche ragione, l’economia europea non si riprenderà - e sulla scia non lo farà nemmeno quella italiana - allora il problema diventerà davvero serio.
Come si potrebbe stimolare questa ripresa?
Anzitutto con una lotta serrata contro la burocrazia. Parlo di una cosa seria, però: bisognerebbe eliminare tante regole e tante norme che vincolano le imprese. Per darle un dato: le sole piccole e medie imprese italiane spendono tra i 30 e il 35 miliardi l’anno per adempimenti burocratici e compilazione di moduli. Poi si dovrebbe mettere mano alla giustizia civile, per renderla più rapida, e combattere in modo deciso l’evasione fiscale. Così si comincerebbe a rendere le imprese italiane più competitive e produttive.
Non servirebbe anche un taglio delle tasse?
Anche il taglio delle tasse va bene. Il problema, però, è che questo taglio non può venire finanziato in deficit. In altre parole, meno tasse significa meno entrate per lo stato e, se si lascia invariata la spesa pubblica, questo comporta che si faccia più debito.