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Lo staff di Luigi Di Maio smentisce categoricamente i retroscena sulle dimissioni del capo politico. Ma intanto il leader grillino incontra i membri della segreteria, il Team del futuro, e fissa la data del congresso: dal 13 al 15 marzo. Ed è in quell'occasione che Di Maio potrebbe annunciare il «passo indietro», spiegano alcune fonti del Movimento. Perché c'è un punto fermo su cui tutte le voci interpellate all'interno del Cinquestelle convergono: il ministro degli Esteri non può più guidare il partito. I continui abbandoni sono solo il prodotto di una leadership indebolita alla base come al vertice. Di Maio non controlla più i gruppi parlamentari, ancora sobillati da chi è rimasto a piedi nella fase di transizione dal Conte 1 al Conte 2, e non gode di certo della benedizione del fondatore, Beppe Grillo, da tempo in rotta di collisione col giovane leader di Pomigliano d'Arco. E persino il patto d'acciaio siglato con Davide Casaleggio sembra scricchiolare sotto i colpi dell'anarchia pentastellata. Il figlio di Gianroberto in prospettiva potrebbe puntare tutte le fiches su Giuseppe Conte, la cui comunicazione, è sempre bene tenerlo a mente, è gestita da Rocco Casalino, uomo fidatissimo di Casaleggio.
Qualcuno arriva addirittura a ipotizzare che, in mancanza di un avvicendamento ordinato e pacifico della leadership, Beppe e Davide potrebbero decidere di abbandonare il Movimento al suo destino, «come fosse una bad company», e investire le loro energie politiche su quel mondo che si sta coagulando attorno all’ex ministro Lorenzo Fioramonti. “Eco”, che a breve dovrebbe avere i numeri per creare una componente autonoma nel gruppo Misto, sarebbe in questo senso concepito come il nucleo originario di un nuovo partito costruito su misura dell’avvocato del popolo: un contenitore capace di sopravvivere alle sorti di Di Maio e compagni. Sarebbe un’ipotesi estrema, ovviamente, ma i vertici M5S preferiscono attrezzarsi per un “piano B”.
Per ora bisogna provare a gestire la fase delicata. A sostegno del capo politico sono scesi in campo molti big: da Alfonso Bonafede a Riccardo Fraccaro, da Manlio Di Stefano a Stefano Buffagni, da Francesco D’Uva a Laura Castelli. Ma altrettanti sono stati i silenzi.
Il Movimento è balcanizzato, i senatori ribelli minacciano di portare al congresso il loro documento contro il leader, e bisogna trovare in fretta un possibile successore. In caso di dimissioni a marzo, è probabile che a gestire una prima fase di transizione sia un reggente come Vito Crimi, membro anziano del Comitato di garanzia pentastellato. Ma non si esclude un’opzione collegiale in grado di garantire tutte le anime del Movimento in un momento delicato.
Dopo la fase di passaggio, però, ai grillini servirà trovare un leader vero, stabile e riconosciuto. E il nome più gettonato al momento resta quello del ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli. Stimato dalla maggioranza dei parlamentari, Patuanelli è in ottimi rapporti con Conte, con Grillo e con Casaleggio. È stato lui inoltre, dopo i giorni convulsi del Papeete, a gestire personalmente le trattative col Partito democratico per nascita di una nuova maggioranza. Anche per questo l’ex capogruppo al Senato avrebbe tutte le carte in regola per farsi carico del carrozzone pentastellato. Unico handicap: proprio come Di Maio «ricopre un incarico di governo e dovrebbe lasciare il Ministero», come richiesto espressamente da alcuni senatori all’attuale leader politico. Da qui a marzo, Patuanelli avrà tempo per rifletterci.
Tra i possibili “pretendenti al trono” potrebbe però esserci anche Roberta Lombardi, attualmente capogruppo M5S in Regione Lazio. Pioniera del dialogo col Pd di Zingaretti, da tempo l’ex deputata contesta apertamente la leadership solitaria di Di Maio. E in più di un’occasione, anche parlando con questo giornale, ha lasciato intendere di non escludere una sua candidatura al ruolo di capo politico in un futuro non troppo lontano. Potrebbe essere l’occasione giusta.
Scartata l’ipotesi Alessandro Di Battista, ripartito per l’Iran e considerato ormai quasi un corpo estraneo al Movimento, non sembra percorribile neanche la strada ortodossa che da sempre porta a Roberto Fico. Non solo il Presidente della Camera non ha alcuna intenzione di rinunciare al proprio ruolo istituzionale, ma il suo profilo non rientrerebbe nemmeno nei piani di Casaleggio, più propenso a costruire un’organizzazione di centro ( alleata momentaneamente col Pd) che un partito di “sinistra” troppo connotato.
E in caso di stallo prolungato, c’è anche chi, a sorpresa, pensa che un «buon reggente» sarebbe Giorgio Trizzino, deputato parecchio apprezzato da molti colleghi per le posizioni equilibrate. Ma non solo, Trizzino è anche il grillino più vicino al Quirinale, in ottimi rapporti personali col Presidente Sergio Mattarella.
La guerra per la successione è partita, anche se Di Maio non ci sta.