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Boris Johnson
Ancora grane per Boris Johnson, non bastasse il cosiddetto scandalo Partygate sui ritrovi alcolici organizzati a Downing Street dalla tarda primavera del 2020 in barba alle restrizioni anti Covid cui lo stesso governo Tory aveva sottoposto in quei mesi milioni di britannici, dalla regina in giù. Questa volta a creare imbarazzo e polemiche è una deputata del suo partito, Nusrat Ghani, la quale ha denunciato di essere stata esclusa dall'esecutivo due anni fa solo per il fatto di essere «una donna musulmana». L'accusa, rivolta al ministro capogruppo (Chief Whip) della maggioranza Tory alla Camera dei Comuni, Mark Spencer, l'uomo incaricato di sorvegliare la disciplina di partito in Parlamento, è stata respinta dall'interessato. Ma il vespaio divampa sia tra le opposizioni (decise a cavalcare l'ondata che minaccia sempre più concretamente di travolgere Johnson), sia soprattutto nella parrocchia del premier, dove s'invoca l'ennesima inchiesta interna. Ghani, 49 anni, è, come molti altri Tories "new British" figli di immigrati di prima o seconda generazione provenienti dalle minoranze etniche di un Regno Unito sempre più cosmopolita, una paladina della Brexit al pari di BoJo. E l'attuale capo del governo l'aveva confermata nel 2019 nella carica di sottosegretaria ai Trasporti assegnatole fin dall'anno prima sotto la leadership di Theresa May: salvo sostituirla di colpo nell'ambito del rimpasto datato febbraio 2020. Un benservito di cui la deputata - nata nel 1972 nel Kashmir pachistano e cresciuta a Birmingham dopo essersi trasferita bambina in Inghilterra con i genitori - rimase sorpresa, come racconta oggi al Sunday Times. Aggiungendo di aver interpellato un componente «dell'ufficio dei whips» per chiederne conto; e sostenendo di essersi sentita rispondere che «il problema» sarebbe stato il suo «essere musulmana»: poiché «una donna musulmana sottosegretaria» avrebbe «messo a disagio i colleghi».
«È come se mi avessero dato un pugno allo stomaco, mi sono sentita umiliata e impotente», commenta adesso Ghani, affermando di aver taciuto così a lungo perché "avvertita" del rischio di finire ostracizzata e di potersi rovinare «carriera e reputazione». La parlamentare non ha fatto il nome dell'interlocutore, ma Spencer ha dichiarato che la richiesta di spiegazioni fu in effetti fatta a lui; bollando però come «del tutto falsi» i contenuti del colloquio riferiti dall'ex sottosegretaria e arrivando a ventilare una querela. Il caso, tuttavia, rimane apertissimo. Con il Labour e altri partiti che parlano di «islamofobia» (contestazione emersa d'altronde pure in seno ai ranghi laburisti mesi fa). E con richieste interne di chiarimenti che si moltiplicano. Si tratta di accuse «molto serie» che «devono essere indagate», ha riconosciuto alla Bbc il vicepremier e ministro della Giustizia, Dominic Raab, numero 2 di BoJo. «No all'islamofobia, le accuse vanno investigate e qualunque forma di razzismo va spazzata via», gli ha fatto eco via Twitter con sdegno Nadhim Zahawi, esponente conservatore emergente di radici curdo-irachene promosso di recente proprio da Johnson a ministro dell'Istruzione in un gabinetto che peraltro include più discendenti d'immigrati che mai: con altri ministri chiave (uomini) d'origine islamica come il titolare della Sanità, Sajid Javid. Ad aggiungere benzina sul fuoco, vi sono del resto le imputazioni già indirizzate nei giorni scorsi all'ufficio del Chief Whip sulle presunte minacce contro alcuni deputati della maggioranza tentati di unirsi alla rivolta anti-Johnson e a un potenziale voto di sfiducia sulla sua leadership di partito innescata dalla vicenda Partygate. In primis da parte del giovane ultra brexiteer William Wragg, che ha addirittura annunciato d'essersi fatto convocare da Scotland Yard per deporre in merito in settimana: negli stessi giorni in cui sono attese le cruciali conclusioni dell'inchiesta indipendente affidata all'alta funzionaria Sue Gray sui ritrovi di Downing Street che potrebbero segnare il destino di Boris. (ANSA).