L’ex presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, è stato formalmente incriminato dalla Procura generale della Repubblica (PGR) per il suo presunto coinvolgimento in un piano volto a impedire l’insediamento di Luiz Inácio Lula da Silva dopo le elezioni del 2022. Dopo mesi di indagini e analisi delle prove raccolte dalla Polizia federale (PF), il procuratore generale Paulo Gonet ha deciso di rinviare a giudizio Bolsonaro e altri 33 imputati.

La decisione ora è nelle mani della Corte Suprema (STF), che dovrà valutare se vi siano elementi sufficienti per avviare un processo penale. Qualora fosse condannato, l’ex capo di Stato potrebbe affrontare una pena superiore ai 28 anni di carcere. Tra i capi d’accusa figurano associazione a delinquere armata, tentato golpe, sovversione violenta dell’ordine democratico, danneggiamento aggravato e minaccia grave ai beni della Federazione, oltre al deterioramento del patrimonio storico.

Le indagini: un piano orchestrato da tempo

La Polizia federale ha trasmesso alla PGR un dossier dettagliato frutto di anni di investigazioni, avviate già nel 2019. Secondo gli inquirenti, Bolsonaro avrebbe «pianificato» e «coordinato direttamente» un tentativo di colpo di Stato, risultandone il principale beneficiario. Il quadro tracciato dagli investigatori è quello di una rete di cospiratori che coinvolgeva figure chiave all’interno delle Forze Armate e del governo, con l’obiettivo di mantenere la destra al potere.

Fondamentali per l’accusa sono le rivelazioni del colonnello Mauro Cid, ex assistente di Bolsonaro, che ha collaborato con la giustizia fornendo informazioni cruciali. Secondo gli inquirenti, il piano includeva una massiccia campagna di disinformazione sui social network, volta a screditare le istituzioni, i giudici della Corte Suprema e persino i loro familiari.

Un’ulteriore inchiesta riguarda la cosiddetta «rete digitale», un sistema di propaganda e manipolazione volto a creare un clima di instabilità nel Paese. Si sospetta che questa macchina di disinformazione fosse finalizzata a legittimare un intervento autoritario, con la chiusura del Parlamento e della Corte Suprema, paventando un ritorno alla dittatura militare.

Il presunto piano per eliminare Lula

Tra le rivelazioni più inquietanti c’è quella di un presunto piano per assassinare il presidente Lula, il vicepresidente Geraldo Alckmin e il giudice Alexandre de Moraes, figura centrale nei processi contro Bolsonaro. Secondo le intercettazioni raccolte dalla Polizia federale, il piano sarebbe stato coordinato dall’ex ministro della Difesa, il generale Braga Netto, che avrebbe dovuto guidare un «governo straordinario» in seguito agli attentati.

Il complotto, secondo gli investigatori, sarebbe sfumato solo all’ultimo momento, a causa del mancato sostegno di alcuni settori dell’esercito. Le informazioni su questa vicenda sono emerse a novembre scorso, grazie alle rivelazioni del colonnello Cid.

Le ombre sulla fuga di Bolsonaro negli Stati Uniti

Un altro tassello dell’inchiesta riguarda la partenza di Bolsonaro dal Brasile alla fine del 2022, poco prima dell’insediamento di Lula. L’ex presidente ha trascorso diversi mesi negli Stati Uniti, ufficialmente per evitare il passaggio di consegne, ma la sua permanenza ha sollevato molte domande.

Uno degli elementi sotto indagine è il certificato vaccinale falsificato: Bolsonaro, notoriamente contrario alla vaccinazione anti-Covid, avrebbe presentato documenti irregolari per poter entrare negli Stati Uniti, commettendo un abuso di potere e falsificazione di atti pubblici.

Inoltre, un altro filone di indagini riguarda la presunta vendita di doni ricevuti durante le visite di Stato, mai registrati nei documenti ufficiali. Si ipotizza che l’ex presidente abbia cercato di monetizzare questi oggetti per sostenere le spese del suo soggiorno all’estero.

L’assalto alle istituzioni: il momento più critico

L’episodio più simbolico delle tensioni post-elettorali è stato l’assalto dell’8 gennaio 2023, quando migliaia di sostenitori di Bolsonaro hanno preso d’assalto le sedi del Parlamento, della Corte Suprema e della Presidenza a Brasilia.

Quel giorno, mentre Bolsonaro si trovava ancora negli Stati Uniti, gruppi organizzati di manifestanti, molti dei quali successivamente arrestati o fuggiti in Argentina, hanno invaso la capitale, contestando la legittimità del risultato elettorale e accusando le istituzioni di aver manipolato il voto.

Secondo le indagini, l’attacco non è stato un episodio spontaneo, ma il risultato di una strategia preordinata, con manifestanti arrivati nella capitale a bordo di autobus organizzati e pronti ad agire al segnale giusto. Le forze di sicurezza, che avrebbero dovuto prevenire la rivolta, sono ora sotto inchiesta per il loro mancato intervento o addirittura per possibili complicità.