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Nessun passo indietro, anzi. Italia Viva ribadisce la presa di posizione contro il dpcm di Conte, parlando di “scandalo costituzionale” e la capogruppo Maria Elena Boschi rincara la dose: «Non è una questione politica, ma di difesa dei diritti».
Non è eccessivo parlare di scandalo costiuzionale?
No. Penso che le libertà personali siano tra i diritti più importanti sanciti dalla nostra Costituzione e non è un caso che siano inserite ai primi articoli. Per limitarle in modo così forte e prolungato servono motivi gravi che ora, fortunatamente, sono venuti meno con il venir meno dell’emergenza sanitaria. Mi pare che la stessa Presidente Cartabia abbia espresso più di un dubbio. Cosi come un illustre giurista come il professor Cassese, proprio dalle vostre pagine, aveva sollevato una questione analoga qualche giorno fa con riguardo ai dpcm precedenti. Non è una questione politica, è una questione di difesa dei diritti e del diritto.
Voi proponete di portare il testo in Parlamento. Per cambiarlo in che modo?
Intanto, portando il testo in Parlamento e non lasciandolo solo all’iniziativa del Governo saremmo tutti più garantiti e non creeremmo precedenti pericolosi per il futuro. E magari potremmo correggere alcune restrizioni del tutto singolari su chi un libero cittadino possa vedere o non vedere che non hanno niente a che vedere con motivi sanitari. Un amico è in sè più pericoloso di un congiunto?
La vostra posizione così critica non rischia di mettere in difficoltà una maggioranza che sembra ormai rimanere insieme solo per via dell’emergenza?
Abbiamo ribadito che fino a che dura il lockdown non ha senso parlare di temi tutti politici relativi alla vita del governo e non lo faremo. Il governo sta per approvare un dl da 55 miliardi e noi sosterremo questo impegno a favore dei lavoratori, delle imprese e io mi auguro della categorie trascurate nei precedenti provvedimenti, a cominciare dai liberi professionisti. Ma il senso di responsabilità per me è verso i cittadini prima ancora che verso il Governo. Nel mio mandato viene prima di tutto il rispetto della Costituzione, poi gli impegni di maggioranza. Nemmeno il coronavirus può imporre di chiudere gli occhi quando sono a rischio libertà fondamentali. Capisco che non siamo in molti a parlare di rispetto della Costituzione in questo momento o di tutela delle libertà personali, ma non possiamo lasciare un precedente così pesante alle future generazioni perché non si sa chi potrebbe servirsene un domani.
Entrando nel merito delle misure, sarebbe stato meglio essere più coraggiosi nella riapertura per favorire l’economia, nonostante i dubbi degli esperti?
Quando ero al Governo, ci siamo trovati in una situazione per certi versi simile dopo i terremoti in Centro Italia. Anche li si trattava di riaprire scuole, ospedali, comuni sebbene su presupposti di rischio diversi. Decidere cosa riaprire quando gli esperti non sono in grado di sottoscriverti il rischio zero non è semplice. E’ una responsabilità enorme. La politica e non i tecnici, però, ha il dovere di bilanciare interessi: salute e lavoro. Non possiamo passare dalla emergenza sanitaria a quella economica e sociale. Ogni giorno di chiusura in più ci costa oltre 1 miliardo di euro. Ogni giorno in più ristoranti, negozi, ma anche studi professionali rischiano di non farcela a ricominciare.
Che cosa avrebbe dovuto fare il governo?
L’esecutivo avrebbe dovuto sfruttare meglio le settimane passate per stabilire in quali condizioni di sicurezza poter riaprire. Oggi un avvocato non sa ancora di preciso che tipo di mascherine fornire ai propri dipendenti, come garantire loro di arrivare in studio coi mezzi pubblici senza rischi, per esempio. Con le scuole chiuse come si gestiscono i figli? E potrei proseguire l’elenco. Ecco, noi avevamo chiesto di cominciare a pensare a queste cose settimane fa, come hanno fatto in altri Paesi. In Germania, Austria, Francia, Spagna non credo siano tutti irresponsabili, eppure riaprono o addirittura non hanno chiuso in alcuni casi.
Tra i rischi c’è quello dei governatori di Regione che prendono iniziative autonome. Vanno arginati?
In questa nuova fase occorrerebbe tener conto nelle riaperture del diverso grado di rischio che c’è in ciascuna regione per decidere. E avere invece linee guida nazionali su come farlo. L’Alto Adige, per esempio, dove i casi sono praticamente pari a zero, capisco che spinga per riaprire subito negozi e scuole.
Da avvocato, sa che il dibattito sui pro e contro del processo da remoto è molto acceso. Lei cosa pensa?
Che la norma, per come è scritta adesso, è sbagliata. L’ho detto in commissione e abbiamo presentato emendamenti come Italia Viva. C’è un tema anche di garanzia della riservatezza dei dati che oggi non pare essere garantita. Sono sicura che presto le norme verranno corrette.
Altro fronte caldo è quello delle carceri e dei domiciliari concessi ad alcun boss.
Sulle scarcerazioni dal 41 bis di cui si è discusso in questi giorni dobbiamo essere chiari: è un pessimo segnale che diamo ai cittadini. Nessuno vuole violare i diritti dei detenuti, anche di coloro che sono sottoposti al carcere duro. Lo Stato però dovrebbe essere in grado di consentire la cura senza far venire meno le esigenze di sicurezza, come avvenuto in passato per Riina e Provenzano. Qui il problema è l’inadeguatezza del capo del Dap che non è stato in grado di predisporre per tempo le misure necessarie e ha scaricato tutta la responsabilità sui magistrati di vigilanza. Il ministro della giustizia dovrebbe sostituire Basentini per poter ristabilire un rapporto di fiducia verso l’amministrazione penitenziaria, anche da parte degli stessi magistrati, dei direttori e della polizia penitenziaria.