Il conflitto in Medio Oriente e le sue ripercussioni su tutti i paesi della regione hanno messo in secondo piano la drammatica realtà che sta vivendo l’Iran. Nella Repubblica Islamica infatti la macchina della repressione e quella della morte continuano a marciare all'unisono mantenendo la stessa cappa di piombo scoperchiata temporaneamente dalla rivolta delle donne in seguito alla fine di Masha Amini, la ragazza curda di 22 anni, arrestata con l'accusa di aver violato il rigido codice di abbigliamento nel settembre 2022.

Secondo le notizie che riescono a bucare la stretta maglia della censura, almeno 87 persone sono state giustiziate a luglio, 29 sono state messe a morte in un solo giorno nel mese di agosto. Tra le vittime delle esecuzioni di massa anche Reza Rasaei, un giovane condannato per la sua partecipazione proprio alle proteste del movimento Donna, Vita e Libertà. Il giro di vite della repressione è arrivato in concomitanza con la recente elezione del nuovo presidente iraniano, Masoud Pezeshkian e ora i timori crescono ogni giorno di più. Si teme infatti per il destino delle attiviste per i diritti delle donne imprigionate, si prevedono infatti ulteriori esecuzioni in vista del secondo anniversario della morte di Mahsa Amini. Circa 70 donne sono ora detenute come prigioniere politiche nella famigerata struttura carceraria di Evin, tra cui due che sono state condannate a morte: la giornalista curda iraniana Pakhshan Azizi e l'ingegnere industriale e attivista Sharifeh Mohammadi. Altri due, Varisheh Moradi e Nasim Gholami Simiyari, sono in carcere con le stesse accuse, ma devono ancora sapere se saranno giustiziate. Il Centro per i diritti umani in Iran (CHRI) ha affermato che diverse prigioniere politiche sono a rischio di morire sulla base di accuse fittizie, inoltre riferisce sempre il CHRI: «Di fronte a un movimento delle donne in Iran che si rifiuta di fare marcia indietro, le autorità della Repubblica islamica stanno ora cercando di minacciare queste donne con la forca, in un disperato tentativo di mettere a tacere il dissenso».

La famiglia di Narges Mohammadi, la vincitrice del premio Nobel per la pace che si trova dietro le sbarre della prigione di Evin, e riuscita a far sapere che nel corso di una protesta nel cortile della prigione, contro l'esecuzione di Rasaei, molte prigioniere sono state ferite dopo essere state picchiate dalle guardie.

Le notizie parlano infatti di una manifestazione interna avvenuta il 6 agosto. Il reparto femminile è stato inondato da guardie carcerarie e agenti di sicurezza, ed è stato emanato l'ordine di aggredire chiunque protestasse. Diverse donne che si trovavano di fronte alle forze di sicurezza sono state quindi picchiate duramente. Tra di loro la stessa Narges che è crollata a terra ed è svenuta dopo essere stata presa ripetutamente a pugni.

Le stesse Nazioni Unite hanno condannato l'accaduto e hanno anche messo in evidenza come dopo il pestaggio alle donne sarebbe stato negato l'accesso a un'assistenza sanitaria tempestiva e appropriata.

Desta molta apprensione anche la sorte delle sindacaliste Azizi e Sharifeh Mohammadi condannate a morte a luglio con l'accusa di ribellione armata contro lo Stato. Azizi e assistente sociale curda di 40 anni, sarebbe stata sottoposta a torture durante gli interrogatori. In una lettera scritta dal carcere di Evin, intitolata Denying the Truth and Its Alternative e pubblicata dall'ONG Hengaw Organization for Human Rights, ha detto di essere stata torturata, sottoposta a finte esecuzioni e messa in isolamento. Sharifeh Mohammadi, invece è stata arrestata nella sua casa di Rasht nel dicembre 2023. L'ennesima dimostrazione che il governo tirannico dell'Iran si stia vendicando contro le donne perché con la loro ribellione hanno scosso le fondamen

In particolare il pugno di ferro si sta abbattendo contro le donne appartenenti a minoranze etniche come ha messo in evidenza un'inchiesta delle Nazioni Unite questo mese. Si avverte come la repressione contro le attiviste si esprime attraverso condanne detentive a lungo termine basate su accuse inventate e confessioni forzate. Soma Rostami dell'Organizzazione Hengaw per i Diritti Umani, ha dichiarato: «È chiaro a tutti che l'unico scopo della Repubblica Islamica dell'Iran con le esecuzioni è quello di diffondere la paura tra la gente....per evitare che le manifestazioni guidate dalle donne si ripetessero».