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Il vice ministro dell'Interno della Bolivia, Rodolfo Illanes, è stato ucciso dai minatori che scioperano da diversi giorni nella zona di Panduro. Il politico è stato prima sequestrato e poi malmenato a morte. Le autorità sono intervenute pesantemente procedendo a oltre cento-centoventi arresti promettendo che i responsabili saranno individuati e puniti con la massima severità. Secondo il ministro della difesa si è già compreso chi siano i responsabili del crimine.Il viceministro Rodolfo Illanes, 56 anni, era andato a Panduro, circa 160 chilometri da La Paz, proprio per avviare colloqui con i dimostranti, ma alcuni minatori tra i più oltranzisti lo avevano intercettato e sequestrato prima che giungesse a destinazione. Il politico sarebbe stato rapito martedì. Sembra soffrisse anche di problemi di cuore. Parlando ai media locali, Illanes aveva assicurato di essere in ottime condizioni e «protetto dai miei compagni». A mezzogiorno aveva scritto su twitter: «La mia salute è buona, la mia famiglia può restare calma», ma poco dopo è stato trovato il suo cadavere. «Siamo andati dove si trovava il vice ministro Illanes e abbiamo trovato il suo corpo senza vita», ha raccontato da Panduro Moses Flores, direttore della stazione radiofonica Fedecomin. Il corpo è portato a La Paz per essere sottoposto all'autopsia: pare che sia stato ucciso probabilmente a calci, pugni e colpi di bastone. Il ministro della Difesa, Reymi Ferreira, in televisione ha detto che Illanes è stato apparentemente «picchiato e torturato a morte». Il suo assistente, ha aggiunto, è riuscito a sfuggire alla furia dei minatori ed è in cura in ospedale a La Paz. «Questo crimine non resterà impunito». Per le autorità si è trattato non certamente di un gesto politico ma di un omicidio «brutale e vigliacco».Le proteste dei minatori in Bolivia vanno avanti da diversi mesi, e hanno avuto una violenta impennata negli ultimi giorni. Negli scontri due lavoratori sono stati uccisi dagli spari della polizia mercoledì scorso, secondo il sindacato, ma il governo ha confermato un solo decesso. D'altra parte 17 agenti sono rimasti feriti nei tumulti. I minatori in sciopero bloccano da lunedì anche la principale autostrada del Paese andino, con migliaia di passeggeri e veicoli rimasti imbottigliati. I minatori boliviani informali e artigianali sono circa centomila e sono organizzati in cooperative, quattrocento delle quali sono riunite nella Federazione nazionale delle cooperative minerarie della Bolivia, organizzazione che un tempo era alleata del presidente Evo Morales. Dopo però che i negoziati per alcune modifiche legislative sono falliti, la Federazione ha iniziato un duro sciopero a tempo indefinito. I lavoratori chiedono più concessioni minerarie e minori regole ambientali, il diritto di lavorare per compagnie private, maggior rappresentanza sindacale. Il governo replica che se i minatori vogliono associarsi alle multinazionali non possono essere più trattati come cooperative. La situazione è ulteriormente complicata dall'irrigidirsi delle posizioni. Secondo il Governo boliviano la questione è stata già risolta il 12 agosto, e il dialogo con i sindacati avrebbe portato a discutere i contenuti della legge cui ora resta solo di dare seguito. Già quella tornata di trattative era scaturita da una protesta dei minatori con vari blocchi della viabilità che però non erano degenerati in violenze. La Federazione invece non considera chiusa la questione e vuole nuovi incontri, con il presidente Morales direttamente coinvolto. Ma il Governo quantomeno prima di nuove trattative pretende la cessazione di ogni protesta. E così si è arrivati alla crisi di queste ore.Un giudizio tutto politico della vicenda è stato dato dal presidente boliviano Evo Morales. A suo dire la responsabilità delle proteste, delle violenze e soprattutto dell'omicidio vanno attribuite a «una cospirazione politica». In una conferenza stampa, Morales ha detto che il suo governo respinge la violenza e che la mobilitazione dei minatori a Panduro è stata strumentalizzata. «I veri minatori delle cooperative sono stati ingannati da alcuni dirigenti, questa protesta non nasce da una rivendicazione, bensì da una cospirazione politica», ha dichiarato Morales, aggiungendo che questi dirigenti «hanno appoggiato mobilitazioni della destra». Il presidente boliviano ha voluto poi precisare che il suo governo non ha mai autorizzato l'uso di armi da fuoco da parte della polizia contro i minatori in sciopero. Il tutto è complicato dalla relativa vicinanza delle elezioni, previste nel 2018. Il governo del presidente Morales infatti gode ancora della soddisfazione di un po' più della metà dei boliviani, secondo i sondaggi, ma d'altro canto la perdita dell'alleanza con la federazione dei minatori può incidere come lo può fare l'insoddisfazione se no si riesce a controllare il caos nel Paese. Al contrario l'opposizione i destra da tutti questi scontri e proteste trae ovviamente giovamento.