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«Sorelle e fratelli, parto per il Messico. Mi ferisce lasciare il Paese per ragioni politiche, ma sarò sempre vigile Presto tornerò con più forza ed energia». Alla fine Evo Morales, ormai ex presidente della Bolivia, ha accettato l'asilo offerto dal Messico e ieri si è imbarcato su un aereo che lo ha portato via dalla zona nella quale si era rifugiato, forse la regione centrale del Chapare.
Parte lasciando la capitale La Paz dove la situazione rimane pittosto grave. I sostenitori di Morales, contadini poveri arrivati con colonne di camion, e i militanti del Mas, si stanno scontrando con la Polizia che è apparsa divisa e incapace di affrontare la situazione, tanto da far intervenire l'esercito.
E' successo dunque quello che si temeva, se i militari avevano fatto dimettere Morales nel tentativo di stabilizzare la situazione, la mossa non è riuscita ed ora la base dell'ex presidente si è ribellata. Sebbene i soldati in strada richiamino lo spettro del golpe a livello istituzionale si tenta di procedere secondo la Costituzione. Senza presidente e con la fuga del vice Álvaro García Linera il compito di condurre il paese a nuove elezioni sarebbe spettato ad Adriana Salvatierra, presidente del Senato, anch'essa però dimissionaria insieme a buona parte dei ministri del governo. L'ultimo ad arrendersi è stato il titolare della Difesa Javier Zavaleta. Per colmare un pericoloso vuoto di poteri è stato convocato d'urgenza del Parlamento, o di ciò che ne rimane, per ratificare le dimissioni di Morales e affidare l'incarico di presidente ad interim alla vice presidente della Camera alta Jeanine Áñez Chávez. Si tratta di un'esponente dell'opposizione di Unidad Democrata la prima nella linea di successione costituzionale.
Contemporaneamente a Washington ieri si è riunita anche l' Organizzazione degli stati americani preoccupata per gli sviluppi che potrebbero verificarsi in Bolivia. Il segretario generala dell'Osa, Luis Almagro, ha diffuso una dichiarazione in cui «rifiuta qualsiasi esito incostituzionale della crisi» e «chiede la pacificazione ed il rispetto dello stato di diritto». E' stata proprio l'Osa che avrebbe ravvisato brogli su larga scala nelle elezioni del 20 ottobre che poi hanno fatto da detonatore alla crisi.
Dagli Stati Uniti però, accusati dal leader venezuelano Nicolas Maduro di aver ordito un golpe contro Morales, affiora qualche dubbio sul lavoro riguardante eventuali manomissioni di voti. Il Center for Economic and Policy Research ha compiuto una dettagliata analisi nella quale si mette in guardia da quella che definisce “a politicizzazione del processo di osservazione elettorale' da parte dell'Osa.
Rimangono poi le preoccupazioni sul ruolo preponderante assunto dai militari, timori espressi dal candidato presidenziale democratico Bernie Sanders che si è detto: «molto preoccupato per quello che sembra essere un colpo di stato in Bolivia, dove i militari, dopo settimane di disordini politici, sono intervenuti per rimuovere il presidente Evo Morales».