Il presidente americano Joe Biden ha suscitato un acceso dibattito politico con la decisione di concedere la grazia al figlio Hunter, coinvolto in reati federali relativi a tasse e armi da fuoco. La grazia, estesa a eventuali altri reati commessi tra il 2014 e il 2024, ha scatenato reazioni contrastanti, sollevando dubbi sull’uso dei poteri straordinari presidenziali.

Biden ha giustificato la sua scelta sottolineando l’influenza politica nelle accuse rivolte al figlio. «Credo nella giustizia, ma questo caso è stato infettato da dinamiche politiche» ha affermato, accusando i suoi avversari al Congresso di aver orchestrato le accuse per danneggiarlo.

La decisione ha però attirato critiche feroci. Donald Trump, presidente eletto e principale rivale politico dell’attuale numero uno della Casa Bianca, ha definito l’atto «un abuso di potere e un errore di giustizia». Trump ha ulteriormente infiammato il dibattito, collegando la grazia di Hunter Biden alla gestione dei casi legati all’assalto del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill, insinuando favoritismi presidenziali.

Questo episodio riapre il dibattito sull’imparzialità del sistema giudiziario e sull’etica nell’uso del potere presidenziale. La grazia presidenziale, pur essendo uno strumento legale legittimo, diventa spesso terreno di scontro politico. L’opinione pubblica americana resta divisa: c’è chi sostiene la decisione di Biden come atto di giustizia paterna e chi la condanna come favoritismo.