Un secco “no” quello del presidente degli Stati Uniti Joe Biden al premier israeliano Benjamin Netanyahu. L’inquilino della Casa Bianca è infatti molto preoccupato della forma che assumerà la risposta di Tel Aviv al lancio di missili balistici dell’Iran sulle città dello Stato ebraico. In particolare teme che l’aviazione di Israele voglia colpire i siti di arricchimento dell’uranio della repubblica sciita.

Pur ribadendo la «piena solidarietà» allo storico alleato e sostenendo il suo diritto a reagire, Biden teme che l’annunciata e ormai imminente rappresaglia israeliana possa provocare un incidente nucleare dalle conseguenze apocalittiche. Il presidente Usa spiega che non sosterrebbe un’operazione con obiettivo i siti atomici in quanto la reazione deve essere «proporzionata», specificando che l’attacco di Tel Aviv non è previsto per le prossime ore per quanto sia scontato che avrà luogo.

Tutte le opzioni sono dunque sul tavolo, fa sapere l’esercito israeliano, ora bisognerà capire su quali obiettivi si concentrerà la risposta. La distruzione del programma nucleare iraniano è in tal senso un’opzione concreta come precisa in un’intervista l’ex premier conservatore Naftali Bennet, secondo cui Israele deve dare continuità ai recenti successi militari: «Abbiamo la giustificazione. Abbiamo i mezzi. Ora che Hezbollah e Hamas sono paralizzati, l’Iran è esposto».

Un altro probabile obiettivo sono, senza alcun dubbio, i siti petroliferi di Teheran: bombardare le raffinerie in un momento in cui il l’Iran è alle prese con una grave crisi economica costituirebbe un colpo durissimo per il regime degli ayatollah la cui economia ruota tutta attorno alla produzione del greggio. Ma anche in questo caso gli effetti sono a doppio taglio in particolare per l’inevitabile aumento del prezzo del petrolio sui mercati occidentali.

Intanto sul fronte libanese la guerra avanza, coinvolgendo non solo le milizie di Hezbollah ma anche l’esercito regolare. Ieri le truppe di Beirut hanno esploso colpi contro gli israeliani per la prima volta da un anno a questa parte in quella che appare come una nuova escalation del conflitto.

I soldati avrebbero risposto al fuoco dopo che un soldato è stato freddato. «Un soldato ha perso la vita dopo che il nemico israeliano ha preso di mira una postazione dell'esercito nella zona di Bint Jbeil, nel sud, e il personale della postazione ha risposto alle fonti di fuoco», dicono i portavoce militari di Beirut.

E ormai anche la capitale libanese è diventata teatro delle operazioni dell’Idf: almeno sei persone sono rimaste uccise e sette ferite in un attacco aereo che ha preso di mira un edificio nel cuore della città. Nel raid, che ha interessato la zona di Bachoura, è stato colpito un palazzo che secondo l’intelligence di Tel Aviv ospitava un centro di soccorso di Hezbollah. In un post pubblicato su X sull’account ufficiale delle forze armate si legge che i caccia dell’aeronautica militare israeliana avrebbero colpito anche agenti della divisione dei “servizi di informazione” delle milizie sciite, distruggendo apparecchiature di sorveglianza e altre infrastrutture.

In seguito a questi nuovi attacchi, l'esercito israeliano ha emesso un nuovo ordine di evacuazione per cinque edifici della periferia sud di Beirut. «Siete vicini a installazioni e interessi legati a Hezbollah, contro i quali l'esercito israeliano agirà nel prossimo futuro» l'avvertimento rivolto agli abitanti.

Stando alle cifre diffuse dall’Idf sarebbero circa un centinaio i miliziani di Hezbollah uccisi negli scontri a sud del Libano, otto soldati israeliani ad aver invece perso la vita. Mohammad Afif, responsabile della comunicazione del “Partito di Dio” però ostenta sicurezza, spiegando che Hezbollah è sufficientemente equipaggiato, addestrato e motivato per respingere l’offensiva dello Stato ebraico: «Assicuriamo al nemico che questo è solo il primo round, siamo pronti sacrificare il nostro sangue e la nostra anima per la nostra patria per la grazia di Dio. La superiorità dell’aviazione sionista si trasformerà per loro in durissime perdite sul campo di battaglia».