Il quadro non è affatto inspiegabile ma certo resta paradossale. All'inizio della guerra l'obiettivo di Putin era, o almeno tutti erano convinti che fosse, la sottomissione dell'intera Ucraina, la sostituzione del governo legittimamente eletto con un regime fantoccio, la conquista di Kiev e forse l'eliminazione di Zelensky. Si trattava in tutta evidenza di obiettivi non negoziabili, che imponevano una resistenza strenua all'Ucraina e il massimo supporto anche quanto a fornitura di armi da parte dei Paesi occidentali. Tuttavia, nonostante tutto, una trattativa c'era, le delegazioni russa e ucraina si incontravano, alcuni Paesi "neutrali", come la Turchia e Israele, cercavano una soluzione negoziata ed erano e non altro ascoltati sia a Mosca che a Kiev.

Da allora la situazione si è capovolta. L'esercito russo ha smesso di assediare Kiev, la richiesta di "denazificazione", dietro la quale sembrava nascondersi il progetto di trasformare l'Ucraina in uno Stato vassallo, è scomparsa dai radar, l'indipendenza dell'Ucraina non sembra più minacciata e con lo svanire di quella minaccia svanisce anche il pericolo, da molti paventato ma in realtà ben poco realistico, di un'ulteriore aggressione russa contro altri Paesi.

Resta il nodo del Donbass e della zona orientale dell'Ucraina. Si tratta di una regione in guerra da 8 anni, nella quale si fronteggiano forze armate ucraine sia pure con il sostegno dell'esercito russo agli indipendentisti. E' una guerra a intensità variabile che comunque ha fatto 14mila vittime tra militari e civili di entrambe le parti. Impossibile quindi negare che si tratti di una regione contesa e che fosse tale da ben prima del 24 febbraio.

La guerra in Ucraina è dunque cambiata sotto i nostri occhi, è diventata qualcosa di molto diverso da quella che era nelle prime settimane. E' diventata una questione di confini, come sempre quando il conflitto per una regione contesa arriva alle estreme conseguenze. Per definizione un conflitto sui confini, all'opposto di quello per la sottomissione di un altro Paese, è negoziabile. Si può e si dovrebbe cercare di risolverlo con la trattativa invece che con le bombe. Il paradosso sta appunto nel fatto che quando le mire di Putin non consentivano mediazione una qualche trattativa in corso c'era. Ora che quelle mire si sono ridimensionate e si potrebbe quindi tentare la via di un accordo ogni tentativo di negoziato è stato dismesso.

Il paradosso è facilmente spiegabile. Quando Kiev era cinta d'assedio la vittoria dei russi sembrava se non certa almeno molto probabile. La ritirata e la ridefinizione degli obiettivi dell' "operazione speciale" sono conseguenze di una sconfitta militare, segno che l'apparentemente soverchiante forza di Putin può essere battuta.

E allora perché non farlo? Perché non cercare la vittoria totale, la resa di Putin, l'abbattimento del tiranno? Questa tentazione si è fatta strada sempre più vigorosamente a Washington proprio in seguito alla sconfitta russa sino ad affermarsi come la vera strategia americana. Va da sé che una trattativa sui confini nel Donbass, che certo non sarebbe facile ma neppure impossibile, è priva di senso se l'obiettivo è una vittoria tanto schiacciante da portare poi al defenestramento di Putin.

Pur non incomprensibile, questa strategia implica però rischi alti e costi tanto elevati quanto certi. Il rischio è evidente: nessuno può prevedere con certezza quali sarebbero le reazioni di un Putin messo con le spalle al muro e impegnato in una guerra per la sua stessa vita o morte. Il prezzo è altrettanto chiaro.

Anche se la fase incandescente della guerra si concludesse con la conquista dell'intero Donbass e il conflitto proseguisse con una sorta di ' guerra d'attrito' sui confini di quella regione le sanzioni contro la Russia dovrebbero proseguire e intensificarsi. La stessa logica per cui proprio la riduzione degli obiettivi di Putin ha allontanato invece che avvicinato il negoziato porterebbe a intensificare anziché allentare le sanzioni dopo la fine della guerra in campo aperto. Gli Usa, insomma, reclamerebbero con determinazione crescente l'embargo sul gas russo e l'esclusione dal sistema Swift anche delle banche russe non ancora agliate fuori, quelle che permettono di aggirare la richiesta russa di pagamenti in rubli.

Il fatto è che tanto i rischi quanto a maggior ragione i costi della guerra totale ricadono e ricadrebbero sulla Ue molto più che non sugli Usa. La divaricazione tra la strategia e gli obiettivi della Ue da un lato e quelli di Biden dall'altro, per quanto camuffata, inizia a evidenziarsi chiaramente. Sin qui la compattezza di un fonte occidentale che ha in realtà interessi confliggenti ha retto proprio perché la méta iniziale di Putin non lasciava alternative. Ma quanto possa resistere di fronte a un quadro che si rivelerà presto molto diverso da quello di fine febbraio è a dir poco assolutamente incerto. Di certo l'Europa e forse non solo l'Europa avrebbe tutto l'interesse nel seppellire, con i sogni neo imperiali di Putin, anche la guerra infinita di Biden.