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BERLINO
Mentre l’intera Europa si sorprende e si interroga sull’ascesa dei populisti dell’Alternative fuer Deutschland nella ricca Germania, nella capitale tedesca in realtà il disagio sociale è pane quotidiano. Entschuldigung die Störung: inizia sempre così, con uno «scusate il disturbo», il mantra dei tanti disperati che quotidianamente chiedono l’elemosina sulle metro cittadine. Se vivi a Berlino, quell’incipit lamentoso e monocorde lo conosci bene, e appena lo senti puoi già decidere se mettere la mano al portafogli oppure infastidirti per la scocciatura. In ogni caso la faccenda durerà pochi secondi, e si risolverà come sempre con compostezza e civiltà squisitamente nordiche. «Grazie lo stesso e buona giornata», mormoreranno i questuanti prima di scomparire nuovamente tra la folla. Ma chi sono, in definitiva, questi strani fantasmi? Sono spesso giovani, la loro pelle è bianca e parlano un perfetto tedesco: sono tedeschi. E proprio di questo si scusano, in fondo: «di essere poveri in un Paese ricco», come metteva in luce già nel 2013 il sociologo Stefan Selke nel suo studio Il Paese della vergogna.
Già, perché qui lo Stato non ti lascia di certo per strada, garantendoti con il sistema dei sussidi un’entrata minima di 800 euro al mese, comprendendo anche l’abitazione. Ma una cosa è sopravvivere, un’altra è coltivare la speranza di migliorare la propria condizione. Cosa che in Germania, com’è stato dimostrato ormai da tempo, non è un’impresa esattamente facile.
CONDANNATI AL SUSSIDIO
Già nel 2013, secondo i dati dell’Ocse, appena il 20% dei giovani tedeschi era in grado di raggiungere un livello professionale superiore a quello dei genitori, cioè circa la metà rispetto ai propri connazionali europei. Insomma la locomotiva tedesca continua a correre a ritmi spaventosi- dal 2008 al 2016 Pil cresciuto del 22% secondo il Fondo Monetario Internazionale ma all’interno delle vetture molti passeggeri restano drammaticamente indietro. E così covano in silenzio la loro rabbia: la rabbia di essere circondati dall’opulenza ma di non poterne in alcun modo partecipare. Un sistema bloccato, dunque, e una scarsa mobilità sociale. A Berlino come in tante altre città tedesche, specie della Germania dell’Est, il disagio non assume i contorni infuocati di altri grandi capitali europee, delle banlieue parigine o degli slam londinesi. Anche i quartieri più periferici restano relativamente ordinati e puliti, tutto è coperto da un’atmosfera ovattata, forse da quella stessa “vergogna” di cui parlava Selke. Eppure il disagio c’è eccome. Complice un sistema formativo piuttosto rigido, se nasci da una famiglia povera è estremamente difficile che tu riesca a risalire la china. Né hai molte più speranze se ti rivolgi allo Stato per chiedere il sussidio. Quello che dovrebbe essere un aiuto temporaneo si rivela una gabbia dalla quale rischi di non uscire più. Anche in questo caso, impietosi, i numeri. Appena la scorsa estate, i dati elaborati dall’Agenzia Federale del Lavoro hanno messo in luce che «le persone destinatarie dei sussidi restano disoccupate sempre più a lungo», con una durata dell’inattività lavorativa media di 629 giorni, il 13,3% in più rispetto al 2011.
Nessuna speranza, dunque, per una rilevante fascia di proletariato tedesco. Ed è anche in questo quadro, indubbiamente, che pesca parte dei suoi consensi l’estrema destra di Afd. Anche se l’ elettorato del partito di destra risulta estremamente composito, inglobando come anche in altri Paesi d’Europa i delusi dai partiti tradizionali, è chiaro che una rilevante fetta del suo successo si nutre anche dei rigurgiti razzisti che nascono in una situazione del genere. Per chi riesce a malapena a sopravvivere, la paura maggiore diventa fatalmente quella di perdere anche quel poco che si ha a vantaggio dell’ultimo arrivato. Scatta la caccia allo straniero, soprattutto negli asfissianti agglomerati urbani delle periferie dormitorio. Come a Marzahn nord, popoloso quartiere all’estremo lembo est di Berlino, dove di sussidio vive la stragrande maggioranza della popolazione. Qui negli ultimi anni non sono mancate le plateali proteste di gruppi neonazisti contro i numerosi centri di accoglienza per i rifugiati sparsi sul territorio. E l’aumento di nuovi arrivi dovuto alla “Wilkommenspolitik” della Merkel non ha fatto altro che aumentare la tensione. Banalmente, il piccolo esercito di disoccupati cronici che prolifera nelle periferie tedesche teme di essere scavalcato nel sistema degli aiuti, a partire dall’abitazione. E che questo sia un pericolo reale o percepito, come sempre, poco importa. Così l’Afd, complice una preoccupante perdita di contatto della sinistra storica con le fasce sociali più deboli, ha avuto gioco facile nell’intercettare e cavalcare il malcontento profondo che cova nella pancia della società tedesca. Come dire: «scusate il disturbo, ma noi entriamo in Parlamento».