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FILE - Amazon CEO Jeff Bezos speaks at the Amazon re:MARS convention in Las Vegas on June 6, 2019. Most news organizations hold its journalists to strict ethical standards to avoid conflicts of interest either real or perceived. Is the same true for its bosses? (AP Photo/John Locher, File)
Sul palcoscenico degli editoriali del Washington Post si consuma un nuovo e devastante conflitto tra l'editore Jeff Bezos e la redazione del giornale. Il fondatore di Amazon, con la sua solita calma glaciale, decide di lanciare una bomba che scuoterà i fondamenti del quotidiano che scoperchiò il Watergate.
In una mail inviata alla redazione, Bezos fa un annuncio che ha il sapore di una svolta epocale: «Scriveremo ogni giorno a sostegno e in difesa di due pilastri: libertà individuali e libero mercato». In quelle poche righe, sembra non esserci solo una linea editoriale, ma un vero e proprio allineamento allo spirito dei tempi e il tradimento della gloriosa tradizione della testata. Pochi istanti dopo l’annuncio di Bezos, arriva la decisione clamorosa di David Shipley, responsabile della pagina degli editoriali, che rassegna le dimissioni.
In un gesto che appare più come un ultimo atto di dignità che una semplice scelta professionale, Shipley lascia il suo incarico: «Dopo una lunga riflessione, David ha deciso di fare un passo indietro» si legge nel comunicato che Bezos stesso invia alla redazione. L’editore, da parte sua, nonha cercato di trattenere Shipley con troppa insistenza, anzi, ha affermato di «rispettare» la sua scelta, raccontando di aver chiesto a Shipley «un’adesione al 100%» della nuova linea. Un invito che suona quasi come una sfida, come un "o dentro o fuori" che espone in tutta la sua forza la volontà di Bezos di allineare il Post alla sua visione del mondo.
La mossa di Bezos è chiaramente un tentativo di entrare nelle grazie della nuova amministrazione americana, guidata da Donald Trump. Già durante la campagna elettorale il padrone del Post aveva impedito alla redazione di lanciare il proprio endorsement per la candidata democratica Kamala Harris. Ieri si à chiuso il cerchio.
Ed è proprio in questo contesto che arriva il tweet di Elon Musk, un tempo rivale di Bezos nella corsa al potere tecnologico e mediatico, che si congratula apertamente con lui: «Bravo Jeff Bezos» scrive Musk su X.Un elogio che conferma come i vecchi capataz della new economy, un tempo felicemente obamiani e democratici, oggi siano stati tutti folgorati dal tycoon sulla strada di Washington. Le parole di Bezos nella sua email sono cariche di una retorica che non lascia spazio a fraintendimenti: «Tratteremo anche di altri argomenti, ovviamente, ma i punti di vista contrari a questi pilastri verranno lasciati ad altri», scrive. Una dichiarazione di intenti che suona quasi come una promessa di esclusività.
Libertà individuali e libero mercato diventano le bandiere a cui il giornale si dovrà aggrappare ogni giorno, a prescindere e senza contraddizioni. E sebbene il Washington Post resti uno dei pilastri del giornalismo mondiale, sembra che Bezos non voglia più sentire parlare di pluralismo quando si tratta di difendere le sue idee, o meglio, le idee del nuovo inquilino della Casa Bianca.
«Gran parte del successo del nostro Paese è dovuto alla libertà nel campo economico e in altri settori. La libertà è etica, perché riduce al minimo la coercizione, e pratica, perché stimola la creatività, l'invenzione e la prosperità», scrive Bezos. Parole che paiono quasi un manifesto politico, un’ideologia economico-politica travestita da inno alla libertà. Eppure, dietro quella libertà, ci sono gli interessi di un uomo che, più di chiunque altro, ha imparato come fare profitto in un mondo dove la concorrenza è l'elemento chiave. Ma è davvero questa la "libertà" che il giornalismo dovrebbe difendere? O è solo una narrazione da difendere a colpi di editoriali?