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Il professor Matteo Bassetti, Direttore della Clinica Malattie Infettive presso l' Ospedale Policlinico San Martino di Genova, rifiuta l'appellativo di “negazionista” attribuitogli da certa stampa faziosa ma rivendica la pluralità di idee in campo medico - scientifico. Che cosa abbiamo imparato in questi mesi sul covid? Dal punto di vista strategico il modo migliore per gestire questa infezione è quello della multidisciplinarietà; le logiche baronali con il covid sono definitivamente morte. Solo collaborando insieme - medici rianimatori, infettivologi, pneumologi, cardiologici, etc - si può gestire questa infezione multiorgano. Dal punto di vista clinico abbiamo capito che non è una infezione così devastante come si poteva ipotizzare in una prima fase: è vero che all'inizio purtroppo sono morte molte persone ma con il passare del tempo abbiamo imparato a contrastarlo meglio, ad esempio utilizzando i farmaci giusti. Dal punto di vista infettivologico questo virus ci ha insegnato che, come gli altri che si sono manifestati nel passato, è un fenomeno dinamico: oggi non è come a febbraio e non sarà uguale a dicembre. Il virus muta, o ha più o meno carica. Oggi fa meno male che a marzo perché trasmettiamo agli altri una carica virale più bassa. Lei e il suo team siete autori di diverse pubblicazioni su riviste scientifiche. Quali i dati più importanti? Abbiamo pubblicato 14 lavori scientifici in 3 mesi. Uno dei più interessanti è quello sulla sieroprevalenza sulle province meno colpite della Lombardia e su quelle liguri: il numero di persone che è stato interessato dal virus in maniera asintomatica è il 13% della popolazione. Ciò vuol dire che il numero che stiamo registrando oggi di persone colpite è molto più basso del numero reale, che dovrebbe essere forse moltiplicato per 10 o per 20. Da ciò si deduce che se il numero dei contagiati cresce di due o tre volte, è evidente che anche la letalità decresce in maniera esponenziale e si aggira tra lo 0,7% e l'1,5%: è una brutta malattia ma in una percentuale minima di soggetti. Il secondo studio? Verrà pubblicato sulla rivista Clinical Microbiology and Infection, la più prestigiosa del settore in Europa e descriverà tutti i casi trattati al San Martino e analizzerà nel dettaglio i fattori di rischio che hanno condotto alla morte del paziente. Un altro nostro studio ha dimostrato, invece, che l'idrossiclorochina, anche ad alte dosi, non ha effetto sulla carica virale di pazienti affetti da SarsCov-2. Cosa ne pensa della proroga dello stato di emergenza? Solo una decisione politica?Solo decisione politica: dal punto di vista medico non siamo in una situazione di emergenza. Se vogliamo definire l'emergenza sanitaria come emergenza ospedaliera, allora la crisi è finita, come in altri Paesi europei. Il problema è di tipo formale credo; il nostro è uno Paese molto complicato dal punto di vista delle leggi: forse i poteri speciali rendono più facile l'adozione di particolari provvedimenti come l'assunzione di medici o la destinazione di ospedali al trattamento del covid. L'importante è essere chiari su questo perché poi l'informazione che arriva fuori dall'Italia è che siamo ancora in emergenza sanitaria. Lei ha detto di essere “veramente schifato per essere stato definito negazionista”. Che clima c'è nella comunità scientifica, non state litigando troppo? Molte di queste polemiche sono state fatte dai giornali, non posso credere che qualche mio collega abbia avuto il coraggio di definirmi “negazionista”. Tra di noi c'è stima reciproca e quindi questo termine può essere venuto solo dalla stampa. Bisogna finirla in questo Paese con i titolisti che ci categorizzano: ottimisti, allarmisti, negazionisti. Si fa cattiva informazione: hanno scritto che avrei detto che il covid è una banale influenza, ma non ho mai pronunciato questa espressione. Sono schifato perché bisogna andare all'origine dell'uso del termine negazionista, ossia di colui che nega lo sterminio degli ebrei. Ho passato tre mesi della mia vita a curare centinaia di pazienti in quei reparti quindi è quantomeno paradossale attribuirmi del negazionista. Non pretendevo che mi si dicesse grazie ma dire che nego l'evidenza del covid è indice di profonda bassezza del giornalismo italiano. Lei ha anche detto che non Le piace un Paese in cui domina un pensiero unico. Ma la scienza non è proprio l'ambito della certezza, della collegialità della conoscenza altrimenti i cittadini perdono fiducia? Non mi piace pensare che sul covid bisogna pensarla tutti allo stesso modo - ad esempio su come è il virus o su come vanno curati i pazienti - . Io non accetto l'idea unica, stile Corea del Nord. Il pensiero unico sul covid ha già prodotto diversi danni in Cina. La scienza e la medicina sono alimentate da pluralità di idee: questo è il bello del nostro mestiere. Io ho le mie ipotesi, faccio degli studi per dimostrare se sono giuste o sbagliate. Questo vuol dire fare ricerca scientifica, questo è praticare la medicina oggi. Chiaro è che non possiamo dividerci sul fatto se questa malattia sia virale o batterica ma possiamo interpretare in maniera diversa altri dati che abbiamo a disposizione. Noi dobbiamo dare ai cittadini gli stessi messaggi che sono: prevenzione - mascherine, distanziamento, lavaggio delle mani - e vaccinazioni. Abbiamo assistito alla sovraesposizione mediatica degli scienziati. Che ne pensa? È stato un errore? Credo che sia giusto che a parlare di una malattia ci sia un esperto. La comunicazione 4.0 è molto veloce, l'informazione televisiva è stata superata da quella online per cui le informazioni che arrivano direttamente dalle rete hanno necessariamente bisogno di qualcuno che le sappia interpretare. Il nostro ruolo di divulgatori è quindi sicuramente importante per i cittadini ma anche per i politici. A proposito di ciò, gli scienziati sono stati rivalutati nelle stanze della politica, rispetto al passato. I politici hanno fatto molto affidamento sulla scienza: decisioni veramente politiche negli ultimi cinque mesi sono state poche, come il lockdown e la chiusura delle scuole, ma comunque prese ascoltando i tecnici. Anche se molte delle decisioni che si dovevano prendere avrebbero dovute essere politiche. La scienza è giusto che si riappropri dei propri spazi e non solo nei casi di emergenza. Scienziati in politica? No, dobbiamo rimanere dei tecnici. Il nostro ruolo è molto vicino alla politica ma con l'indipendenza della scienza. Quindi non la vedremo candidato in qualche partito in futuro? Mi è stato offerto da molti ma noi dobbiamo rimanere sufficientemente lontani e sufficientemente vicini alla politica. Come giudica il lavoro del Comitato Tecnico Scientifico? Il covid è stato un fatto devastante che ha riguardato prioritariamente le Regioni. Il CTS ha sicuramente fatto delle scelte, alcune giuste altre più criticabili, però la maggior parte delle decisioni importanti le hanno assunte le regioni. I risultati ottenuti non sono del Governo o del Cts come qualcuno pensa ma sono delle regioni. Il lavoro sporco, quello sul campo -fare i tamponi, tracciare i contagi, curare la gente, trovare i posti letto - è merito delle regioni